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13 set 2024

L’ingiustizia dell’oblio

di Luciano Caveri

Mi fa molto piacere che nella manifestazione sull’Ottantesimo anniversario dell’Autonomia sia stato lo stesso Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, a citare mio zio Séverin Caveri e la sua azione pressante sulla Costituente affinché la Valle d’Aosta figurasse nell’articolo 116 della Costituzione come Regione autonoma e lavorasse in contemporanea sui contenuti di quello Statuto d’autonomia discusso e varato da quella stessa Assemblea.

Capisco il mio conflitto di interesse di scrivere di un mio illustre familiare, che non ho conosciuto approfonditamente, perché le riunioni che facevamo assieme ai miei genitori con i fratelli e sorelle avevano sempre un carattere conviviale. Ovvio che avessi, sin da bambino, la consapevolezza che si trattasse di una grande personalità e come tale mi mettesse una certa soggezione. Ho memoria di qualche momento. A Pila nella baita di zia Eugénie e sempre da lei – il collante della famiglia – i pranzi di Natale nella casa di via Sant’Anselmo. Io orecchiavo i loro discorsi, in cui passavano dall’italiano al francese, in cui si parlava di questioni domestiche, di conoscenze comuni e anche di politica con riferimenti divertenti nella bocca dello zio. Così capii che nel suo Romanzo intitolato “René de Lostan” aveva inserito dei personaggi che traeva dalla vita quotidiana con qualche frecciata ad avversari politici. Dalla lettura dei suoi libri memorialistici, poesie comprese, ho capito quanto fosse arguto il suo spirito e battagliero il suo ideale politico.

Quando in pochi parlavano di Émile Chanoux, lui – nei discorsi pubblicati dal figlio René a suo tempo – sin dal dopoguerra fu con ragione cultore dei suoi pensieri e originale cantore dei valori del popolo valdostano e del federalismo come chiave di volta per un territorio alpino che conosceva in ogni anfratto. Due volte sole restai da solo con lui. Una prima volta, non ricordo bene quando ma ero molto piccolo, mi prese per mano e attraversando Aosta mi portò a scegliere un giocattolo e mi parlava chiedendo le cose che si dicono ad un bambino. Ero adolescente una seconda volta in cui andai nel suo studio e mi trattenne ponendomi domande che forse servivano per capire che tipo fossi. Avessi avuto qualche anno in più sarei stato io a porgli tante domande sul suo percorso di vita.

Degli ultimi anni di vita, quando era molto malato, ricordo visite in Ospedale e poi il funerale, che fu cerimonia molto semplice. Entrai in politica poco più di dieci anni dopo e già quand’ero giornalista, negli anni precedenti, ebbi modo di incontrare tanti “caveriani”, che lo amarono per la capacità politica, l’arte oratoria, la grande cultura e il suo ruolo decisivo per la Valle d’Aosta. Anche molti avversari, interni all’Union Valdôtaine e esterni in una politica valdostana sempre vivace e divisiva, mi hanno raccontato di lui e nel tempo questi testimoni si sono pian piano assotigliati sino ormai a scomparire.

Ho partecipato a qualche manifestazione a lui dedicata, senza poter fornire grandi elementi della sua intimità e qualche contributo, invece, sul suo pensiero. Resto in più convinto del ruolo decisivo che giocò per il futuro della Valle e ribadisco quanto ho spesso già detto e cioè che -lo scrivo con dolore – un ingiustificato velo di oblio è calato su una figura storica di primissimo rilievo.

Questa sorta di dimenticanza, forse solo in parte voluta, la si vede bene nella bislacca contrapposizione – persino con la nascita di due Fondazioni – fra Émile Chanoux e Federico Chabod, due personalità straordinarie nei tratti che li uniscono e anche in quelli che li dividono. Ma, tenendo conto della morte di Chanoux nel maggio del 1944, è evidente che le posizioni diverse sull’avvenire della Valle dopo la Liberazione, che videro nel Consiglio Valle la contrapposizione forte fra Caveri (erede del pensiero chanousiano) e Chabod ed è questa la coppia che giocò in quei mesi le partite che poi portarono ai Decreti luogotenziali e allo Statuto d’autonomia. Chabod, per un voto, divenne Presidente della Valle nel gennaio del 1946 e lasciò di fatto la politica tre mesi dopo per una serie di vicende che qui non rievoco. Mesi dopo, fu sostituito da Caveri, che divenne poi il primo Presidente della Regione autonoma, segnando – anche con la parentesi del ruolo di deputato, quando venne eletto nel 1958 – sia la storia politica e istituzionale sino agli Settanta, sia segnando per decenni il destino dell’Union Valdôtaine, di cui fu una dei fondatori e Presidente per lungo tempo.

Eppure, malgrado la sua personalità e le sue azioni abbiano inciso profondamente la storia valdostana contemporanea, una sorta di nebbia fastidiosa avvolge il suo ricordo e la ritengo una triste ingiustizia.