Seguo con interesse le diverse manifestazioni che riguardano il secolo di vita della Radio.
Lo faccio come fatto personale - e lo spiegherò - ma anche perché siamo di fronte ad un inossidabile fenomeno sociale. Come fatto personale, perché la radio (passo al minuscolo) è sempre stata mia compagna di vita. Nei vaghi ricordi della mia infanzia da lì partiva la colonna sonora domestica. C’era la radio in certi ricordi di famiglia, come la radio a galena attaccata alla rete di un letto con cui mio zio Antonio faceva ascoltare Radio Mosca a suo fratello, mio papà. Penso a mio zio Ulrico e al suo mitra Sten con cui fece la Resistenza in Valle d’Aosta, che giunse nelle sue mani, dopo un lancio con il paracadute di armi preannunciato da un messaggio in codice di Radio Londra. Ricordo quando con le cassettine si facevano delle compilation tratte dalle trasmissioni radiofoniche grazie alle radio con il mangianastri e come dimenticare le autoradio estraibili sulla macchina per evitare che venissero rubate. Ma le musiche più evolute le ascoltavo in Onde Corte da Radio Lussemburgo che anticipava le tendenze. Furono alcune trasmissioni radio cult, come Alto Gradimento, a forgiare al tempo il nostro slang giovanile.
Poi, la svolta che mi indirizzò verso il giornalismo: Radio Saint-Vincent incrociò me ragazzino e finii al microfono e la radio divenne il mio primo amore fra i media. Fu poi il mio primo lavoro pagato a Radio Reporter 93 a Torino e infine il salto. Da ascoltatore della Voix de la Vallée Rai - gazzettino radiofonico - ne divenni giornalista con grande emozione. Anche da politico per anni tenni rubriche radio - persino quotidiane! - su Radio Monterosa e Top Italia Radio e mi capitava che qualche radio francese mi intervistasse grazie alla mia conoscenza della lingua. Oggi ascolto sul DAB la radio oppure - porta aperta sul mondo - attraverso Internet con copertura mondiale e chissà se, quando non mi occuperò più di politica, tornerò dall’altra parte del microfono.
La radio è impegnativa: bisogna evitare papere, che non possono contare come in Televisione sul vantaggio dell’espressività fisica. Il silenzio, anche di pochi secondi, diventa un abisso. “Andare a braccio” in radio è una pratica straordinaria e formativa. Partecipai a Roma ad un breve corso da radio telecronista e facevano simulazioni divertenti, che misi poi in pratica in anni che ricordo con rimpianto.
C’è poi l’impatto sociale. Mio papà ricordava della diretta radio con appositi altoparlanti piazzati nell’attuale piazza Chanoux ad Aosta con cui nel 1940, in diretta da piazza Venezia, Mussolini annunciò la carognata della dichiarazione di guerra alla Francia. Anni dopo, con evidente gioco delle parti contro la grande propaganda fascista attraverso l’EIAR, per qualche giorno i partigiani che avevano liberato Cogne (c’era anche mio zio Mario) montarono una radio “libera”.
In seguito proprio l’arrivo della radio della Rai rappresentò una grande novità in Valle d’Aosta, pur nei pur limitati spazi a disposizione. Prima ciò avveniva da Torino a partire dal 1961, mentre dal 1968 nacque la sede valdostana. Poi irruppero nella seconda metà degli anni Settanta le radio private e per noi ragazzi fu una svolta culturale che ci cambiò la vita. Ci fu persino, per coprire Francia e Svizzera, l’incredibile e professionale Radio Mont-Blanc con ripetitore sul…Monte Bianco, che scomparve quando anche Oltralpe venne liberalizzato l’etere.
Oggi la radio vive e lotta insieme a noi e lo fa con rinnovata energia sull’onda del Web direttamente sul nostro telefonino e con l’uso sempre più diffuso dei podcast con cui non si perde una puntata.
Penso - occupandomi di digitale - che sarebbe interessante - e seguo la pista informandomi- avere una radio pubblica valdostana via Web con contenuti di servizio per i cittadini, attenzione al francese altrove dismesso nel privato, pronta all’uso anche in caso di grandi emergenze. Chissà…