Non ci sono soluzioni semplici per risolvere problemi complessi.
Un esempio di scuola può essere l’assillo del crollo demografico che colpisce gravemente anche la piccola Valle d’Aosta, che rischia come popolazione di diventare minuscola, essendo già una comunità da numeri ridotti. E non è una minaccia campata in aria, perché le ricerche apposite condotte mostrano la crudezza dei dati, che si sono dimostrati persino peggiori di quanto si immaginasse sino a pochi anni fa.
Il tema riguarda tutto l’Occidente e chi ne fa una questione solo di soldi e di servizi ha ragione solo in parte. Papa Francesco - che spesso è assai espressivo nelle sue dichiarazioni - pochi giorni fa è tornato criticare ad una platea di giovani chi preferisce avere cagnolini e gatti anziché fare figli, rivolgendosi in particolare all'Italia, che andrebbe (lo ha detto!) “un po' bastonata”. “Coraggio, cari amici! Coraggio!”. Scherzare si può scherzare su questa apparente ingenuità, ma la realtà è che esiste qualcosa di profondo che ha mutato il desiderio naturale di avere figli.
Leggevo un breve ma efficace articolo di Arancha González, ex ministra degli Affari esteri della Spagna, che ora è preside a Sciences Po a Parigi.
Giustamente si occupa del livello continentale, essendo un problema comune: “Il futuro dell’Unione europea si gioca sulla competitività, come evidenziano i rapporti Letta e Draghi. Oltre al deficit di produttività, però, entrambi i lavori si soffermano su un altro elemento decisivo: la demografia. La mancanza di competitività europea, infatti, è strettamente legata all’invecchiamento del nostro continente. In Ue l’età mediana è di 44 anni, negli Stati Uniti e in Cina 38, in India 28 e in Africa addirittura 18. Il nostro tasso di fertilità è diminuito a partire dagli anni ’90, passando da 1,6 figli per donna all’attuale 1,4, ben lontano dal tasso di sostituzione di 2,1. Numeri che si traducono in una certezza preoccupante: entro il 2050 oltre il 30% della popolazione europea avrà 65 anni o più, rispetto all’attuale 20%”.
Purtroppo la Valle d’Aosta è in linea con l’invecchiamento della popolazione, rendendo ancora più problematico il ricambio e c’è pure in aggiunta il fenomeno evidente di tanti giovani che lasciano la Valle per inseguire legittimamente le proprie ambizioni personali. Frutto anche di un progressivo degrado del senso identitario.
Ancora González: ”L’inverno demografico minaccia la sostenibilità di welfare e sistemi pensionistici, oltre a creare carenze di capitale umano per il mercato del lavoro. Mantenere il modello sociale europeo e sostenere gli investimenti in tecnologia, decarbonizzazione e difesa, richiede di portare la crescita annua dall’attuale 1,7% al 2,5%. Metà di questo gap è causato dal nostro deficit demografico, che ha bisogno dell’immigrazione per essere compensato. Gli Usa fanno meglio di noi: circa il 14% della popolazione che vive lì è immigrata, mentre in Europa è il 6%. Il nostro secolo si caratterizza per una competizione globale per attrarre e sviluppare talenti. Questo rende strategica la collaborazione pubblico-privata tra i diversi livelli di governo, aziende e istituzioni educative per investire sulla formazione continua lungo l’arco della vita lavorativa e sull’adattamento tecnologico della forza lavoro”.
Tutto giusto e pensiamo ad una Regione autonoma che vive della fiscalità frutto della propria economia come si troverà stretta fra costi crescenti per l’assenza per una popolazione sempre più anziana e risorse che mancano per imprese in crisi per manodopera e mancanza di giovani che aprano o ereditino attività.
Sempre l’articolo: “La strategia per il futuro della competitività deve essere integrata da un’azione su tre fronti: l’automazione, il prolungamento della vita lavorativa e l’immigrazione. Nessuna di queste strade è semplice, né funziona da sola: il successo dipende dalle loro combinazioni, in base alle specificità di ciascun Paese”. La rivoluzione digitale, che è meglio del termine automazione, è cruciale per la Valle d’Aosta a supporto di un settore pubblico che avrà seri problemi seri di organizzazione.
Altra sfida: “Il secondo fronte riguarda la permanenza nel mondo del lavoro. Con l’aumento dell’aspettativa di vita, molti Paesi stanno innalzando l’età pensionabile, sia per soddisfare le esigenze del mercato del lavoro, sia per garantire la sostenibilità dei sistemi pensionistici. Nella maggior parte dei Paesi Ue l’età pensionabile è stata portata da 65 a 67 anni. Poiché si vive più a lungo e meglio, quando ci sono le condizioni adatte bisogna incentivare la possibilità di ritardare il pensionamento o adottare schemi di pensionamento parziale”.
Bisogna avere il coraggio di dirlo che l’allungamento della vita deve corrispondere davvero ad un pensionamento allungato nel tempo.
Un altro spunto: “Il terzo pilastro, il più delicato dal punto di vista politico, è l’immigrazione. Ciò che sorprende è l’ipocrisia: da un lato si vuole crescita economica, ma dall’altro si demonizzano gli immigrati, che diventano il capro espiatorio di ciò che non funziona.
Dobbiamo uscire da questa contraddizione. Per farlo è fondamentale integrare tre dimensioni: la sicurezza, per combattere mafie e trafficanti di persone; la competitività, aprendo canali legali per una migrazione regolare e investendo nel riconoscimento delle qualifiche; e, la più importante, i diritti umani. Sono persone, non numeri. E nemmeno semplici “fattori di produzione”. È indispensabile la costruzione di sistemi di integrazione seri e strutturati per evitare ghettizzazioni.
In sintesi, abbiamo bisogno di un dibattito europeo serio, ancorato alla realtà, che riconosca il ruolo dell’immigrazione nel migliorare la competitività e, dunque, il benessere di tutti. Senza scappare dalle questioni spinose, a partire dalle condizioni in cui l’integrazione di persone con culture diverse può avvenire e essere positiva per tutti. Un ultimo aspetto: l’inverno demografico non si risolverà con appelli alla maternità. Come se avere figli fosse solo una decisione personale. Forse sarebbe più utile investire in misure che permettano a donne e uomini di condividere le responsabilità lavorative e familiari, ripartire in modo più equo i costi dell’educazione dei figli, investire in infrastrutture per l’infanzia e migliorare l’accesso agli alloggi e la qualità dell’occupazione giovanile”.
Bisogna ragionarci sapendo che è un tema mondiale, europeo, nazionale, ma da applicarsi anche a livello valdostano con la dovuta intelligenza.
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