Mi ha sempre fatto sorridere e anche pensare, quando incontro qualcuno che mi dice: “Sono uno sportivo!”. Poi, parlando, ti accorgi che è un tifoso, che per una sorta di proprietà transitiva vive un’identificazione con uno sport, benché non praticato.
Eppure i tifosi sono importanti non solo per una banale questione di business, che ovviamente ci sta, ma anche perché sono coloro che supportano squadre e campioni. Come tutti ho avuto la mia parte di tifoseria. Quando giocavo con le figurine Panini delle squadre di calcio (primo esempio di cosa significhi il baratto con gli amici), la grande fierezza era quella di completare la formazione della Juventus, la mia squadra per analogia con mio papà. Anche se, avendo un caro zio granata, vivevo la curiosa situazione – sempre per affinità – di ammirare il Toro.
Una grande ammirazione riguardava anche Cassius Clay o Muhammad Alì, come decise di chiamarsi. Non era solo la boxe (che vidi alcune volte dal vivo in tornei minori, cavandone una certa impressione), ma la sua personalità di uomo libero e di sportivo che riusciva a rendere lieve uno sport di per sé stesso violento.
Poi, dovendo completare la gamma di interessi, ricordo l’epopea della “valanga azzurra” negli anni Settanta. Cercavo di non perdere la gara in TV e mi interessavano le figure gioiosi di questi atleti. Oggi, riguardando le immagini dell’epoca, pare passato chissà quanto tempo e si entra nel campo dell’insidiosa nostalgia.
Oggi dovessi dire seguo distrattamente molte discipline, ma – cartina di tornasole – non ho nessun abbonamento con le reti sportive e in particolare il calcio, che accende qualche favilla per occasioni particolari, ma per il resto dimostro una certa indifferenza per un ambiente di vertice che ha aspetti piuttosto inquietanti. Comprese - visto il tema affrontato - certe tifoserie politicizzate e/o delinquenziali che fanno rizzare i capelli.
In questi anni, anche se per elementi di casualità l’ho conosciuta in una sola occasione, ho seguito le vicende di Federica Brignone, che gira il mondo ma ha mantenuto salde radici valdostane a La Salle.
Ne scrivo con il dispiacere nel cuore, sapendo del suo incidente di queste ore che l’ha costretta ad un’operazione molto delicata. Questo avviene – ed è un brutto scherzo del destino – alla fine di una stagione magica, durante la quale ha dimostrato tutto il suo carattere, conquistando podi e due Coppe del mondo. Ovvio che non si può che augurarle di riprendersi in fretta con il traguardo evidente delle Olimpiadi del prossimo anno a Milano-Cortina. Trovo che lei sia un esempio di sportiva coraggiosa e con grande lucidità, un vero caso di costanza, che le ha consentito di mantenere risultati di rilievo.
Trovo che abbia tratti di determinazione di Jannik Sinner, che avrebbe tra l’altro potuto diventare atleta di livello nello sci, ma scelse – posso dire per sua fortuna anche per i guadagni ben diversi – il tennis. Questa storia dei soldi trasforma questo atleta così dotato in oggetto di invidia sociale. Si aggiunge la solita, triste incomprensione da parte di molti italiani del fatto che sia sudtirolese, cioè appartenente alla più grande delle minoranze linguistiche presenti in Italia, per altro italiani per conquista bellica.
Spesso mi domando quale tipo di xenofobia spinga certe persone ad esprimere un atteggiamento di disprezzo verso Sinner, che invece, come Federica, dev’essere fonte di ispirazione e oggetto del massino rispetto.