Vengo da una famiglia dove a tavola si è sempre bevuto del vino.
In cantina ogni anno arrivavano dal Piemonte delle damigiane e si lavorava allegramente per l’imbottigliamento.
Bevo volentieri il vino, non lo faccio ad ogni pasto, ma se ho amici a casa lo si beve volentieri e questo capita anche quando esco per andare al ristorante.
Non mi posso considerare un conoscitore, ma - essendo curioso per natura - ho assaggiato vini di tutti i generi e in diversi Paesidove vengono prodotti.
Ho bei ricordi di visite in cantine famose e di degustazioni varie. Nel cuore ho un abbinamento a Reims fra diversi tipi di champagne accostati a fontine con differenti gradi di maturazione. Bella esperienza da Braida di Giacomo Bologna a Rocchetta Tanaro, capendo bene il rapporto fra vigne e vini. Idem le molteplici esperienze in ristoranti anche stellati, quando l’arte di conciliare cibi e vini diventa un inno ai sensi.
Non dico della Valle d’Aosta perché gioco in casa e credo di aver assaggiato tutta la gamma, seguendo con ammirazione la trasformazione in pochi decenni di una viticoltura medio-bassa in prodotti di nicchia di gran qualità. Capita ormai, in giro in vacanza o per lavoro, di trovare nostre bottiglie in enoteche di grande prestigio.
Ho letto, tempo fa, un’inchiesta sul mercato del vino di Lara Loreti su Repubblica, pubblicata prima del temporaneo stop ai dazi decisi da Trump, che sarebbero stati e forse saranno una bella batosta.
Così diceva l’articolo: “I dazi americani al 20% (il mercato Usa è il primo per l’Italia e nel 2024 ha sfiorato i 2 miliardi). Guerre e crisi economica, con conseguente capacità di spesa ridotta per il 48% delle famiglie italiane. Poi, le spinte salutistiche, che hanno visto l’alcol sotto accusa per le sue connessioni con il cancro sia in Europa sia negli Usa. Il riscaldamento climatico, che spinge a consumare cibi e bevande meno caloriche. E la voglia e l’attenzione più alte, in generale, verso il benessere in una società in cui lo stress ha raggiunto massimi livelli. Senza dimenticare l’inasprimento delle pene per chi guida in stato di ebbrezza. Mai come in questo momento storico il vino vive una fase critica, sia dal punto di vista della produzione sia dei consumi. Attualmente nelle cantine italiane c’è un’intera vendemmia di prodotto invenduto, pari a circa 41 milioni di ettolitri. Una parabola che vede un calo costante anche nel bere: negli ultimi 30 anni, come mostrano i dati dell’Osservatorio Uiv, il consumo di vino è sceso del 21%. Ma di recente la situazione si è ulteriormente complicata”.
Si beve meno vino: “Una situazione internazionale che non aiuta i produttori, già messi alla prova dal fatto che gli italiani stanno bevendo meno. A soffrire di più i rossi, che dal 2019 al 2024 hanno registrato un sonoro -18% di consumi; meno drastica la flessione dei bianchi, -6,4%. È cambiato il modo di bere: oggi si cercano vini più delicati, piacevoli, meno corposi, dove prevalgano gli aromi tipici dell’uva piuttosto che i sentori del legno come vaniglia e frutta secca. Complice il cambiamento climatico, si cercano di più i bianchi e le bollicine, le cui vendite continuano a salire, nonostante la crisi, trainate dal Prosecco. E, come testimoniano i ristoratori, mentre prima a tavola in due o tre persone si ordinava una bottiglia, oggi si punta di più su un calice o due a testa”.
È ancora: “Tra le motivazioni che spingono le persone a bere meno c’è una generale, minore attrazione verso il vino, il desiderio di risparmiare, la preferenza verso altre bevande alcoliche, peraltro meno costose, la voglia o la necessità di ridurre lo zucchero nella dieta e non ultimo l’aspetto della salute”.
Cambiano i gusti: credo che tutti ci accorgiamo dell’incidenza degli aperitivi: “A fronte di 29 milioni di consumatori di vino in Italia - di cui 11,6 che lo bevono quotidianamente – sul fronte aperitivo si parla di 22 milioni di appassionati, come emerge dai dati dell’Osservatorio Uiv. Spirits, ready to drink, cocktail e drink a base vino sono le alternative più gettonate fra i bevitori. E in questo senso, un ruolo sempre maggiore lo avranno i vini a bassa gradazione utilizzati in mixology, ma anche i vini aromatizzati, come sostiene il professor Vincenzo Gerbi, docente al dipartimento di Agraria all’università di Torino: “Credo che nel futuro un ruolo centrale nel beverage lo occuperanno i vini aromatizzati stile vermouth, ma a gradazioni più basse, bevande piacevoli e versatili anche nell’abbinamento col cibo”. Da tenere sotto osservazione anche i vini dealcolati e senz’alcol, una nicchia in crescita che potrà conquistare una fetta interessante di mercato, anche nell’export per le imprese italiane”.
Confesso che, avendo bevuto buone birre senza alcol, capisco che forse sarà così anche per il vino. Personalmente, però, resto tradizionalista…