Anche se viviamo la nostra vita, immersi come siamo nella routine fatta di tante cose, non si può negare quanto la situazione mondiale ci preoccupi.
Mai si sarebbe immaginato che, in un Pianeta dove la violenza resta una cifra tragica della nostra umanità, avremmo viste scene di guerra cosi terribili e drammatiche.
Sul palcoscenico globale ci sono molte ragioni di preoccupazione e le angustie che ne derivano sono come una cappa di grigiore sulle nostre coscienze.
Non è vero che gli struzzi mettono la testa sotto la sabbia quando hanno delle preoccupazioni. È un’invenzione! Ma è vero che esiste questo rischio di scegliere di non guardare alle tante brutture che ci circondano e diventa quasi naturale chiudersi in una sorta di bolla protettiva.
Per chi crede nei principi del federalismo e ritiene che molte questioni debbano anzitutto essere affrontate nella nostra prossimità, questo significa essere cittadini coscienti e informati.
E bisogna farlo guardando anzitutto vicino a noi e alla comunità cui apparteniamo, come punto di partenza per essere coscienti anche delle sfere più vaste che ci contengono.
L’immagine efficace resta quella della matrioska. Avete presente? L’individuo - e dunque anche noi stessi - è parte di cerchi più grandi: dal singolo alla famiglia, dalla comunità al Paese, dal Continente al mondo. Questa immagine aiuta a capire che le nostre azioni locali hanno effetti globali, e viceversa.
Ecco perché le elezioni regionali alle porte sono importanti, perché il primo ambiente vitale, l’ecostima umano e politico, il terreno di confronto per i molti problemi è quello a noi più vicino.
Da dove viviamo — la nostra casa, il nostro paese, la nostra storia — ci allarghiamo, consapevoli di chi siamo, verso gli altri livelli dell’esistenza.
Ogni cerchio che attraversiamo ci arricchisce, senza cancellare ciò che abbiamo dentro. Siamo persone, cittadini, membri dell’umanità. Come in una matrioska, ogni strato ci contiene e ci protegge, ma ci chiede anche di assumerci una responsabilità più grande rispetto alla nostra identità valdostana, che è il tratto distintivo, quello di partenza. L'identità di un popolo è un concetto sfaccettato, plasmato dalla storia, dalla cultura, dalle tradizioni e dalle aspirazioni collettive.
Certo, come ha detto, Zygmunt Bauman “L'identità non è mai qualcosa di statico, è sempre in divenire”, ma questo non vuol dire affatto negare il proprio modo di essere, la propria necessaria originalità.
C’è una bella frase di Elie Wiesel, scrittore ebreo americano: “Siamo tutti viaggiatori nel grande deserto del mondo, e il meglio che possiamo trovare è un'oasi di comprensione. Ma per costruire questa oasi, dobbiamo prima capire noi stessi, le nostre radici, la nostra storia”.
Claude Lévi-Strauss, il celebre antropologo francese, riteneva che ogni cultura, con le sue specifiche strutture, miti, riti e sistemi di pensiero, contribuisse in modo unico alla complessità e alla vitalità del "mosaico umano".
Lévi-Strauss era profondamente critico nei confronti della tendenza alla monocultura e all'omologazione globale. Vedeva in essa una minaccia non solo per le singole culture, ma per l'intera umanità. Per lui, la scomparsa delle culture sotto la spinta della mondializzazione, la tendenza a somigliarsi l'una all'altra, si traduceva in un repentino e nefasto impoverimento per tutti.
Perciò riconoscere e valorizzare la propria identità significa anche riconoscere e valorizzare quella altrui, in un continuo gioco di scambi e distinzioni. Perdere, secondo il grande antropologo, la propria identità culturale significa perdere un pezzo unico e insostituibile del grande patrimonio umano.
Ecco perché bisogna battersi per questo anche in una piccola Regione alpina.