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31 mag 2022

Viva le spiagge, abbasso la montagna!

di Luciano Caveri

Il mondo della montagna non è avvezzo a lamentazioni e a piagnistei. Sarà un tratto culturale o caratteriale - fate voi - ma quel che è certo è che questo atteggiamento civile sembra essere scambiato in Italia come un'arrendevole rassegnazione. Le montagne in Italia piacciono molto per la retorica convegnistica. Una tantum si scopre l'esistenza di queste "Terre Alte" e dei loro abitanti, ma nell'animus profondo di larga parte della politica italiana restiamo il Paese del mare. Un tratto romantico condivisibile ma spesso caricaturale alla "pizza e mandolino", che si trasforma talvolta in evidenti ingiustizie e mancanza di attenzione per chi vive in alto "sui bricchi" e non sulle coste. Esemplare a questo proposito la questione dei gestori delle spiagge, dicesi «balneari», che hanno tenuto sospesa la legge sulla concorrenza in Parlamento grazie alla difesa strenua di parlamentari di vari gruppi, specie della Destra, che hanno fatto della battaglia in difesa degli ombrelloni la loro missione numero uno, senza il senso del ridicolo per questa scelta che fa ridere l'Europa ed ha violato sinora le norme comunitarie. Vedremo ora la soluzione di compromesso di cui oggi si scrive.

Intanto: in Italia ci sono ben 52.619 le concessioni demaniali marittime, di cui 11.104 sono per stabilimenti balneari, 1.231 per campeggi, circoli sportivi e complessi turistici, mentre le restanti sono per utilizzi vari (dati Legambiente 2019). Ci sono regioni, come Liguria ed Emilia-Romagna, dove quasi il 70 per cento delle spiagge è occupato da stabilimenti. Ma la questione non è tanto il fatto che le spiagge libere in Italia siano un miraggio, quanto il fatto che le attuali concessioni balneari siano un regalo a vantaggio di pochi privilegiati. Attualmente, in Italia, le concessioni demaniali marittime non sono assegnate con gara pubblica, come sarebbe invece richiesto dalla "Direttiva Bolkestein" del 2006. Una direttiva che ha l'obiettivo di garantire pari accessibilità a tutte le imprese europee nel concorrere, in questo caso, all'affidamento delle concessioni demaniali. Ci sono voluti provvedimenti dell'Autorità antitrust, della Commissione europea, sentenze della Corte di Giustizia, della Corte Costituzionale, dei Tar e da ultimo del Consiglio di Stato, ma alla fine la foresta pietrificata del regime delle concessioni balneari ha cominciato a scricchiolare Ricordo che il giro d'affari del settore è stato valutato dai giudici di Palazzo Spada intorno ai 15 miliardi di euro mentre lo Stato ricava poco più di 100 milioni da quasi 27mila concessioni. Dunque scopriamo che la media annuale dei canoni per ogni concessione è al di sotto dei 4.000 euro annui. Una cifra del tutto irrisoria rispetto al giro di affari degli stabilimenti balneari. Nessun settore che si basa su un bene immobile (spiagge e insediamenti turistici lo sono) ha un rapporto così sbilanciato tra costo degli immobili e ricavi. I soldi che rimangono nelle tasche dei concessionari sono sottratti a quelli del contribuente (lo Stato troverà altrove le risorse che non prende dalle spiagge) e, per di più, con contratti a lunghissima durata e quasi nessun rischio di concorrenza. I gestori hanno perciò un incentivo perverso a fare pochi investimenti per migliorare il servizio o tenere bassi i prezzi. Infine, a prescindere dalla buona volontà degli attuali concessionari, si è finora impedito l'ingresso di nuovi operatori più efficienti, con una perdita complessiva per l'intera economia. Intanto la legge sulla concorrenza in approvazione, mentre accarezza i balneari con soluzioni all'italiana, nulla fa di buono per le concessioni idroelettriche, una delle ricchezze della montagna. Anzi, in questo caso il rischio è di andare a gare che potranno portare via queste risorse a vantaggio di chi - il caso della "CVA" valdostana è da manuale - serve da volano per l'occupazione, tutela il territorio e consente dividendi a favore della comunità. In un settore, quello delle energie rinnovabili, con cui tutti si sciacquano la bocca, così come sulla necessità di mantenere asset strategici. Parole, parole, parole... Meglio le spiagge, insomma.