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22 mar 2024

Il fattore S

di Luciano Caveri

Ognuno in politica deve guardare ai problemi del proprio schieramento: il mondo autonomista è sembrato in certi momenti come un quadro dadaista e in giro in Valle d’Aosta ci sono ancora emuli di Salvador Dalì, che non si rassegnano a far parte di un bel gruppo di famiglia, come dovrebbe essere. Per cui, con questa premessa guardinga e autocritica, mi sento di guardare in casa d’altri e affrontare uno dei temi importanti della politica italiana: il fattore S.

Matteo Salvini nei giro di alcuni anni ha trasformato la Lega da partito “federalista” del Nord in un partito nazionalista e sovranista, costruito nel post Bossi - in un quadro acciaccato da scandali - con una evidente forza carismatica e una salita rapida, ora sostituita da una picchiata. C’era in passato un solo esponente leghista, Mario Borghezio, che giocava da sempre nel campo dell’estrema destra ed era una specie di mosca nera, che oggi sembra invece quasi un moderato, vista la sterzata sempre più a destra del salvinismo.

Lo si vede in modo vivido, anche se ragionevolmente pare un autogol, dalla deriva filorussa, di cui la posizione soddisfatta sulla recente conferma di Vladimir Putin alla Presidenza della Russia appare essere solo la punta di un iceberg di rapporti vari con Mosca. Esemplare il celebre accordo tra la Lega e il partito Russia Unita (partito del neoZar), rinnovato il 6 marzo 2022 poco dopo l'invasione russa dell'Ucraina e di fatto vivente.

Ma se questa scelta filorussa inquieta e penso pesi sul destino della leadership di Salvini, specie se le Europee andassero male, colpisce ancor di più la sperticata simpatia per Donald Trump.

Lo racconta bene sul Foglio Claudio Cerasa: “Non contento di aver già espresso la sua solidarietà a Vladimir Putin per difendere il presidente russo da tutti coloro che incredibilmente considerano le elezioni russe una tragica pagliacciata, Matteo Salvini ha scelto nuovamente di fissare un altro caposaldo della sua visione politica del mondo, esprimendo le sue più profonde congratulazioni a Donald Trump per via delle vittorie alle primarie repubblicane in Florida, Illinois, Ohio, Kansas e Arizona. “Il vento del cambiamento – ha detto Salvini – soffia forte in Europa e negli Stati Uniti”. Il leader della Lega, è noto, usa il suo sostegno a Trump anche per marcare una distanza dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che a differenza di Salvini tenta in tutti i modi di far sparire Trump dalla sua timeline. Ma il trumpismo di Salvini non è interessante da illuminare solo per evidenziare le distanze che esistono tra la premier e il suo vicepremier. E’ interessante da mettere a fuoco anche per un’altra ragione che riguarda l’autolesionismo di fondo di un partito, come la Lega, che non capisce quanto sia contraddittorio sventolare lo slogan “prima gli italiani” e sostenere poi chi, in nome del protezionismo, promette di mettere in circolo tossine pericolose anche per gli stessi italiani che la Lega vorrebbe proteggere”:

La logica antieuropea e isolazionistica di Trump, accanto alla deriva autoritaria che da tempo accarezza, è oggi agli antipodi di chiunque abbia un minimo di buonsenso. Aggiunge Cerasa: “Non pretendiamo certo che Salvini si renda conto di cosa voglia dire sostenere, a voce alta, un candidato come Trump che in caso di vittoria alle presidenziali ha già promesso, nell’ordine: (a) rastrellamenti, arresti e deportazioni di massa dei migranti illegali; (b) fine dei finanziamenti all’Ucraina; (c) indagini promosse dal dipartimento di Giustizia contro i suoi oppositori; (d) liberazione dei rivoltosi del 6 gennaio 2021. Tutto questo, forse, è pretendere troppo. Si potrebbe però suggerire a Salvini di chiedere alle categorie produttive a cui prova a parlare la Lega, quelle spesso evocate da Salvini con lunghi e interminabili elenchi durante i suoi comizi, cosa ne pensano del trumpismo. Esempi? Facile. Gli artigiani, i commercianti, gli imprenditori, gli agricoltori. Per ciascuna di queste categorie, l’arrivo di Trump sarebbe una catastrofe per varie ragioni. L’italia, come sa Salvini, è un paese manifatturiero ed esportatore ed è anche grazie alle esportazioni se l’Italia negli ultimi anni è riuscita a portare il pil sopra la media dell’eurozona. Trump, al contrario, è un nemico giurato del commercio globale ed è evidente che in un mondo che si balcanizza, e che incentiva produzioni sempre più nazionali e sempre meno globali, le imprese abituate a trasf

ormare la globalizzazione in un’opportunità soffrono”. Mi fermo qui. Non capisco come i Presidenti di Regione leghisti, con cui capita spesso di collaborare, non reagiscano a queste posizioni sempre meno logiche del loro leader. A meno che non aspettino solo il post Europee per il cambio.