L'intrico di affari - un bel verminaio davvero! - che ruotava attorno ad una parte dell'attività "Grandi eventi" della Protezione civile ha sortito una proposta di inasprimento delle pene per i reati contro la pubblica Amministrazione, anzitutto la corruzione. Certo per un giudizio completo bisognerà attendere come la legge uscirà alla fine dal Parlamento, ma il tentativo di reagire appare comunque significativo, anche se il PdL ha cercato con questo di evitare di essere punito dagli elettori.
Ma c'è da chiedersi se esista, a fondamento di ogni scelta in campo penale o a valere sull'eleggibilità dei politici, una tensione morale dell'opinione pubblica verso o meglio contro chi si sia macchiato di reati un tempo degni di pubblico ludibrio. Oggi sembra prevalere una logica di amnesia e di perdonismo in cui, in fondo, chi ha rubato viene assolto e purificato nel nome di una sorta di catatonia o persino di ammirazione verso il "furbo" di turno nella logica assolutoria del genere «in fondo sono tutti uguali». A questa omologazione dei "tutti uguali", che dovrebbe fare come il detersivo che lava ottenendo "il bianco più bianco" non solo del casellario giudiziale ma anche delle coscienze, va opposto un netto rifiuto per evitare rischi che facciano della politica luogo di scorribanda per chi sceglie la politica per arricchirsi illegittimamente e per distinguere chi - e personalmente lo rivendico - crede che l'impegno pubblico sia inscindibile dall'onestà personale.