«La morale de cette histoire, c'est que les hommes sont des cochons! La morale de la morale de cette histoire, c'est que les femmes aiment les cochons!». Quante volte, in cantina, abbiamo cantato questa canzone salace, che fa parte del repertorio allegro "da festa"? Si potrebbe chiudere qui magari aggiungendo, come spiritosaggine, una frase di Ambrose Bierce, che dice: «Cochon. Animal étonnement proche à la race humaine par la vivacité et la splendeur de son appétit». Potrebbe essere la pietra tombale del "bunga bunga". Ed invece, purtroppo, io credo che ci sia poco da ridere. Non lo dico per un moralismo o rifacendomi ai massimi sistemi dell'etica e non scomodo neppure i valori religiosi, cui altri si richiamano come il prezzemolo. Lo dico perché credo che non esista uno steccato fra la vita privata e la vita pubblica per chi ha scelto un mandato elettivo, per cui i valori morali - se a questi ci si deve richiamare - servono solo per capire, nel concreto, come una certa persona si comporterà nell'amministrare la cosa pubblica.
Intendiamoci ancora: i santi fanno i santi e i politici fanno i politici. Io, ad esempio, pensando a me stesso e non agli altri, non posso fingere di essere perfetto e senza difetti, ma esistono atteggiamenti e comportamenti sopra le righe (sulla disonestà diamo per scontato che siamo tutti d'accordo!) che si incrociano inevitabilmente con la propria credibilità personale. Specie quando - questo è un punto non banale - la privacy è a corrente alternata: si ostenta la vita privata quando fa comodo e la si cela quando non conviene. Non è convincente, a questo proposito, chi teorizza che, alla fine, ci sia una specie di sbiancante che pulisce ogni macchia e questa è la volontà elettorale espressa dal voto popolare. Quest'idea è semmai un’anomalia italiana, dove il perdonismo e regole di manica larga consentono a chi negli altri Paesi occidentali è "bruciato" di tornare sulla scena, contando sia sulla memoria corta sia su chi gradisce che il politico sia aperto ai maneggi. In fondo oggi si seguono certe vicende guardando alla Magistratura come supremo regolatore, ma bene hanno fatto i giudici di Milano a chiarire i ruoli: loro intervengono sui reati, non sui comportamenti. Quello spetta ad altri: ai sistemi di regolazione della democrazia senza i quali, alla fine, tutto quello che è borderline - al limitare del reato - risulta alla fine lecito. Che tristezza…