C'è qualche cosa di ingiusto e drammatico nell'invecchiamento. Mi riferisco, avendolo vissuto con mio padre che ne soffriva molto, a quello stato di decadenza che cerca di rovinare i tuoi ricordi più belli, inchiodando una persona cara alle sofferenze e alle immagini conseguenti di un lungo addio. Chi deve mettere una foto in un necrologio lo ricordi. Ecco perché mi sono abituato a pensare che un atto di giustizia è ricollocare le persone nel tempo. Così per Romano Fosson, che ci ha lasciati in queste ore, e che non ha nulla a che fare con cannule e respiratori di questo ultimo periodo perché era un uomo forte ed energico e così va ricordato. La memoria in tante situazioni, private e conviviali come amico di famiglia (da piccolo mi appariva come un "gigante buono" e i figli hanno sorriso a questa definizione perché era un papà severo) e poi sono io ad essere diventato amico dei suoi figli. E lo ricordo, nel pubblico, impegnato, come Presidente del "Comitato caccia", nella sua passione civile, quasi febbrile per l'attività venatoria. Fosson aveva capito che la caccia, su cui scriveva pagine vibranti sul "Chasseur valdôtain", doveva avere radici antiche ma anche adeguarsi ai cambiamenti e per questo si guardava attorno, specie nel resto delle Alpi, per vedere se e come adeguare la "nostra caccia". I suoi occhi e il suo sorriso si trasfiguravano nei racconti della natura valdostana: un amore e una conoscenza del territorio rari, che gli consentivano una ricca aneddotica non fatta solo di animali ma anche di persone, specie dei cacciatori di cui conosceva vita, morte e miracoli. Con lo zaino in spalla, è partito per la sua amatissima Ayas e lì, chi gli ha voluto bene, lo ritroverà, nello straordinario ambiente naturale della "sua" Champoluc.