L'Italia - e in Valle molti si sono adeguati - è il Paese dei bugiardi. Dire quel che si pensa è un errore. Chi fa politica spicca spesso per la capacità di "contare balle" e avere la lingua biforcuta. Ma pare che questo renda, essendo appunto la sincerità quasi un fatto eversivo. Così la retorica sull'Unità d'Italia diventa occasione, dopo i distinguo storici del Presidente Luis Durnwalder, di cui ho dato conto in un post qui sotto, per una serie di belle strigliate sui giornali di oggi contro le Regioni autonome (Bolzano è, per altro, la sola ad avere una "garanzia internazionale" dell'Austria). Poco conta che a prevedere la "specialità" sia la Costituzione repubblicana: certi editorialisti, ignoranti come delle scarpe, spiegano che è ora di smetterla con i "ricchi e privilegiati". Il Presidente del "Tirolo del Sud" (se preferite Alto Adige) ha detto quel che pensa e ha fatto male. Doveva raccontare bugie e sarebbe stato adorato. Spesso vince proprio chi sceglie di "dare un colpo al cerchio e uno alla botte". Dicesi, appunto, "cerchiobottismo", come fanno certi Ministri indipendentisti per scaldare le piazze e poi del tutto integrati nelle logiche "romane". Perché la verità è che sulla situazione italiana a 150 anni dall'Unità d'Italia esiste un doppio linguaggio: le preoccupazioni di vario genere nei discorsi nel privato e la retorica patriottarda in pubblico. Un doppio registro che fa impressione e che non porta bene, come dimostra la realtà del bisticcio sul 17 marzo - giorno nel 1861 della nascita dell'Italia con il Re piemontese che si fece Re d'Italia - festività vera o fasulla e comunque, come tante altre cose, "una tantum".