La democrazia è fatta di negoziazioni e di sistemi giuridici e istituzionali che fissino regole di comportamento dei diversi attori, compresi gli eletti, i loro partiti di riferimento e chi è chiamato a ricoprire cariche di Governo. Nel caso della Valle d'Aosta, la "legge fondamentale" è lo Statuto d’autonomia, che è basato sulle norme votate dalla Costituente e che risalgono al 1948. Ci sono poi stati degli aggiustamenti importanti, direi dei miglioramenti - tutti da me seguiti alla Camera dei deputati - nel 1989, nel 1993 e nel 2001. Quest'ultimo quasi in parallelo con quella riforma costituzionale sul regionalismo, che ha confermato la "specialità" attraverso una riscrittura del 116 della Costituzione (da allora la nostra Regione autonoma ha una dizione bilingue "Valle d'Aosta - Vallée d’Aoste"). Questo insieme, a fondamento dell'"ordinamento valdostano", cui si possono aggiungere le norme d’attuazione e l'insieme della legislazione regionale, crea diritti e doveri per la nostra comunità e per lo Stato, cui si sono aggiunti sempre di più nel tempo gli obblighi comunitari e l'Unione europea come interlocutrice. Diritti e doveri, scrivo non a caso. Vorrei intrattenervi sui diritti, che in una democrazia sono da distinguere dai "piaceri", dalle "raccomandazioni", dal "benvolere" e da tutti i sinonimi che volete adoperare. Nel quadro di una negoziazione politica, che può creare quadri favorevoli o sfavorevoli, amicizie o inimicizie, rallentamenti o "sveltimenti", l'autonomia speciale è un diritto e come tale va considerata da chi vuole interpretare le speranze dei valdostani. Se l'idea fosse che per ottenere qualcosa bisogna mostrare acquiescenza, sottomissione o persino "leccaculismo", allora l'immagine risulterebbe fortemente distorta e non parleremmo di un clima democratico e di certezza del diritto nel rapporto corretto fra istituzioni.