Ieri, in una discussione vivace qui sul sito, ho respinto l'accusa di essere afflitto dall'invidia, che il vocabolario così definisce: "sentimento spiacevole che si prova per un bene o una qualità altrui che si vorrebbero per sé, accompagnato spesso da avversione e rancore per colui che invece possiede tale bene o qualità". Che orrore e, per altro, che inutile perdita di tempo! Meglio la coppia tradizionale e drammatica amore-odio. E - se dovessimo scorrere i restanti "peccati capitali" - con la superbia come sono messo? Si tratta, sempre da definizione classica: "esagerata stima di sé, accompagnata da un atteggiamento altezzoso e da un ostentato senso di superiorità nei confronti degli altri". Se c'è, tanto per fare autocritica, penso che la forma sia da considerarsi mitigata dall'autoironia. L'avarizia e cioè quello che i religiosi racchiudono nella formula di "desiderio irrefrenabile dei beni temporali" (più ordinariamente "gretto attaccamento al denaro e a ciò che si possiede") non mi appartiene. Lussuria ("desiderio irrefrenabile del piacere sessuale") e gola (