Ho guardato ieri sera la partita della finale degli Europei di calcio: in campo Italia e Spagna. L'ho fatto volentieri, perché una serata di questo genere è sempre un'occasione simpatica e l'ho vissuta con i miei due figli più grandi. Era facile l'allusione, diventata un tormentone nelle ore precedenti, a due Paesi accomunati dai guai di un economia zoppicante che si riscattano grazie al pallone, specie contro i tedeschi - i grandi sconfitti - che nella vulgata da spiaggia sono al minimo storico di popolarità in quell'intreccio fra sport e politica dei sempre presenti opinionisti da ombrellone. Nel villaggio dove mi trovo in vacanza avevano allestito per l'occasione un maxischermo in un "Palatenda", dove si sono accalcate le persone le più varie, com'è normale che sia in un luogo come questo, dove si trova un concentrato di varia umanità. Quando è partito l'inno di Mameli un gruppo di ultras ha invitato la platea in attesa ad alzarsi in piedi: molti hanno cantato con la mano sul cuore. Un afflato patriottico che è scemato pian piano sino a crollare al terzo dei quattro gol finale inflittoci dagli spagnoli. A quel punto i "patrioti" più caldi nelle premesse sono usciti senza aspettare la fine della partita, pronunciando frasi assai prevedibili all'indirizzo degli azzurri che da eroi iniziali si sono trasformati, nel breve volgere di una novantina di minuti, in una squadra di mentecatti. Non dico poi il trattamento per il presidente del Consiglio Mario Monti, già fischiato nell'inquadratura iniziale in tribuna - nel distinguo fra calciatori ammirati e Governo odiato - e che è finito peggio con motteggi vari sul suo essere "menagramo". Il "nazionalismo pallonaro" non mi stupisce. Dai tempi delle antiche Olimpiadi le rivalità agonistiche accendono scontri nazionalistici in barba alla retorica sui valori universali dello sport. Stupisce, però, che il patriottismo italiano resti un fenomeno imberbe perché per molti legato in modo esclusivo agli "Azzurri" e alle loro prestazioni sportive. Così se si vince il tifo esplode con bandiere e cori, se si perde la delusione cancella tutto con buona pace della sportività e di quel senso identitario che molti collegano solo con il risultato della partita.