Non so quando Babbo Natale sia morto, per me intendo, non in senso assoluto, perché il vecchio del Polo Nord direi che gode di ottima salute. Malgrado la crisi, resta un crescente punto di riferimento e la sua icona appare dappertutto. Il famoso pugile italo-americano Jake LaMotta ha detto ed è caustico: «Eravamo così poveri che a Natale il mio vecchio usciva di casa, sparava un colpo di pistola in aria, poi rientrava in casa e diceva: spiacente ma Babbo Natale si è suicidato». Mi riferivo a quel momento in cui incominci a dubitare che sia qualcun altro - per me era un misto fra Gesù Bambino e appunto Babbo Natale - a portarti i regali. Devo dire che, forse per distrazione di papà troppo spesso in giro per politica, non ricordo quando i più grandi Laurent e Eugénie abbiano scoperto che i regali li portavano genitori e amici e non quel personaggio che da San Nicola si è nei secoli trasfigurato in Babbo Natale, con il colpo finale della "Coca-Cola". In un suo libro dedicato al ruolo della multinazionale della bibita gassata Nicola Lagioia ha scritto: «Approdato a New York nel XVII secolo come residuato di una tradizione maturata per oltre mille anni nel Vecchio continente, quello che un tempo era stato San Nicola, vescovo di Mira (nell'attuale Turchia), si presentava nei primi decenni del Novecento americano come un potente simbolo del mondo dei consumi. L'impresa della "Coca-Cola" non consistette nell'aver determinato un processo di scristianizzazione già in atto da tempo ma nell’averlo semmai cristallizzato, rendendolo in qualche modo definitivo. Il fatto che quest'incontro sia avvenuto in modo quasi accidentale, non toglie che ci fossero le premesse di un matrimonio felice. Spesso le grandi imprese hanno bisogno di un pretesto, un imprevisto, un incidente di percorso che costringa i loro autori a tirar fuori dalle proprie azioni quello che non credevano possibile. La riscrittura di Santa Claus ad opera della "Coca-Cola" trovò questo pretesto nel dottor Harvey Washington Wiley, un personaggio il cui semplice nome evocherà per gli uomini della futura multinazionale scenari da incubo. Il dottor Wiley lavorava al Dipartimento di chimica degli Stati Uniti e cominciò a diventare noto nel 1902, quando diede vita alla "squadra del veleno", un gruppo di ragazzi utilizzati come cavie umane allo scopo di assumere additivi alimentari sospettati di essere nocivi. L'anno successivo Wiley fece partire una crociata salutista che troverà nella bibita con le bollicine un bersaglio privilegiato". Insomma: Babbo Natale fu la risposta ad una visione "complottista" su certi nefasti della "Coca-Cola", che ancora aleggiano. Ma torniamo al vecchio barbone, privato delle sue caratteristiche di Santo. Il più piccolo dei miei figli, Alexis, fresco dei suoi tre anni, crede ciecamente in Babbo Natale, ma - vivendo in epoca tecnologica, come si vede quando si destreggia con l'iPad - questa storia della letterina, con scrittura affidata alla mamma, gli va abbastanza per traverso. L'altro giorno, fulminato da una vetrina di giocattoli che aveva cambiato le sue priorità nell'elenco dei desideri già messi per scritto, ha capito che era difficile tornare indietro sulle scelte. Così ha afferrato il telefonino di papà e ha simulato un'esilarante telefonata a Babbo Natale. Modi spicci per fargli capire che è giunta l'ora di adeguarsi: basta con le Poste! Un giorno - mi viene una botta di tenerezza - saprà che, come ha scritto Charles Dickens: «Onorerò il Natale nel mio cuore e cercherò di tenerlo con me tutto l'anno».