Storie da lontano per arrivare poi vicino. Mi scrive dal Colorado Daniele Treves, che dirige laggiù la "Colorado Stone Quarries" (questo è un filmato che descrive il lavoro nelle cave di marmo, realizzato dalla televisione locale "Aspen 82"). Quest'anno Daniele, che è di Issogne, non verrà a casa per le vacanze, ma certo laggiù non gli mancheranno le montagne, visto che il Colorado - anzitutto con le Montagne Rocciose - ha un'altimetria media molto elevata, simile alla nostra Valle d'Aosta. Daniele mi ha mandato una bella foto dei figli con uno sfondo di montagne con un pochino di neve sulle cime (ad Aspen ci sono cinquecento chilometri di piste!), ma soprattutto una significativa immagine di piantine di génépi raccolto laggiù per farne un distillato come avrebbe fatto da noi! Credo che gli amici americani apprezzeranno questo nostro liquore in una zona dove, cominciando dal bourbon, i superalcolici fanno parte della tradizione, visto che siamo nel cuore del vecchio Far West e dunque lo spirito dei cowboy e dei leggendari pistoleri aleggia!
Ho già ricordato in passato come Daniele mi abbia spedito i racconti di persone di origine valdostana che abitano laggiù, i cui nomi sono già tutti un programma: Clifford Cerise, Ed Grange, Ernest Gerbaz, Floyd e Vera Diemoz. Fanno parte degli eredi di quelle migliaia e migliaia di valdostani che scelsero di emigrare fra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento negli Stati Uniti alla ricerca di fortuna e di cui ogni tanto abbiamo eco qui in Valle, non essendoci più laggiù - a differenza di Francia e Svizzera - gruppi organizzati. Qualche giorno fa a Glenwood Spring il nucleo storico di emigrati valdostani si è ritrovato per un picnic (o era un barbecue?) ed alcuni di loro parlano ancora - chissà con quale purezza lessicale - il patois dei loro avi. Anche se poi in realtà, leggendo le loro biografie, sono persone che si sono perfettamente integrate nella società americana, ma mantengono il ricordo delle proprie terre di origine e immagino che mai e poi mai si sarebbe immaginati che Daniele, dopo aver lavorato nelle cave in Africa e in quelle in USA vicino a Washington, sarebbe diventato un membro apprezzato della loro comunità, portando però elementi di freschezza sulla Valle d'Aosta di oggi. Pensavo a questa storia rispetto al tema caldissimo dell'integrazione delle comunità che si stanno formando in Valle d'Aosta. L'argomento non è banale: senza risalire troppo indietro, si può dire che tutte le migrazioni interne verso la Valle da altre Regioni (piemontesi, lombardi, toscani e altri) si sono perfettamente integrate. Lo stesso si può dire della comunità calabrese, che pure sembra avere mantenuto - la "Festa dei calabresi" insegna - caratteri propri molto forti, ma mai in una logica di contrapposizione. Diversa sembra per ora l'esperienza delle nuove comunità di origine straniera, come quella dei provenienti dal Maghreb, che hanno - ma questo vale anche per altri gruppi - una presenza molto autoreferenziale e non mi riferisco alle pratiche religiose che fanno parte della legittima diversità culturale. Si tratta di una società parallela che si affianca a quella valdostana, ma con interazioni - almeno per la mia esperienza - molto limitate e dovute più a obblighi che al piacere di scambiare esperienze e di capire a fondo la realtà locale scelta per viverci. Questo oltretutto in una comunità valdostana che resta per ora, tranne qualche eccezione e nervosismo dovuto all'arrivo dei migranti, aperta e disponibile al dialogo. Per fondare una civile convivenza, sapendo che da questa nascono anche novità perché nulla è inamovibile, bisogna tuttavia e con chiarezza convincersi che - fatti salvi diritti, usi e costumi se compatibili con i nostri principi costituzionali - la vita assieme è sempre un punto di incontro, nel quale l'integrazione non è una violenza ma una legittima richiesta.