Per alcuni anni, poco più che ventenne, sono stato un cronista d'assalto e questo in Valle d'Aosta ha significato seguire da vicino molti incidenti in montagna per realizzare reportage. Ho visto, spesso raggiungendo il luogo della sciagura con l'elicottero, vicende umane che mi hanno colpito profondamente: un padre morto, ma il figlio si salvò, nella tenda colpita da una valanga sotto una parete sul Monte Bianco; una moglie che accarezzava il viso del marito ucciso sotto un piccolo strato di neve crostosa alle Cime Bianche; i corpi nel sacco dei cadaveri di parecchi giovani caduti sul Rosa per il distacco di una cornice di ghiaccio; ho seguito le ricerche spasmodiche di un gruppo di persone seppellite da una valanga a Pila. Sono flash che arrivano dal passato, che ricordano come anche il giornalista più scafato abbia il diritto di commuoversi e soprattutto il dovere di trattare certi fatti con delicatezza e rispetto.
Ma soprattutto esiste la necessità di capire la montagna e di averne in qualche modo una cultura per evitare, ad esempio, le tante baggianate sentite in occasioni come quella dell'albergo sull'Appennino investito da una valanga o certi resoconti - mi riferisco alla recente tragedia in Savoia con un gruppo investito da una massa nevosa - che denotano una mancanza di conoscenza e un gusto di buttare in pasto ai lettori solo elementi eclatanti della cronaca nera più truce. Ma soprattutto la solita solfa che alcuni rimestano sulla pericolosità di una "montagna assassina", quando in realtà dare alla montagna sembianze umane e chissà quali sentimenti è infantile e buono solo per qualche titolo ad effetto. Ci pensavo dopo aver appreso dalle agenzie, ieri mattina, del cedimento di una parte della cascata a Gressoney-Saint-Jean con la morte di quattro alpinisti. La guida Matteo Giglio così ha raccontato in passato per gli appassionati la parete detta "Bonne année": «Accesso: superare Gressoney-Saint-Jean e raggiungere la località Onder Parletoa. Proseguire ancora brevemente verso monte fino a scorgere, non lontano dalla strada il caratteristico muro verticale della cascata. Raggiungerne facilmente la base (cinque minuti). Descrizione del percorso: una delle perle della Valle di Gressoney. Comodo accesso, scalata divertente e atletica, assenza di pericoli oggettivi. Ancora una firma di prestigio nella valle per mano della premiata ditta Jaccod-Marlier. Molto frequentata. La maggior parte delle cordate percorre solo i primi due tiri e scende in doppia. Una terza lunghezza facile consente di uscire dalla cascata e raggiungere facilmente il canale che fiancheggia a destra (faccia a monte) la cascata». Proprio Ezio Marlier con Alessandro Jaccod fece questa parete di ghiaccio, il cui nome deriva dal fatto che la scalarono il giorno di Capodanno! E' in questa cascata ghiacciata che si è consumata la tragedia, che ora dà la stura appunto alle interpretazioni le più varie, quando poi in realtà ormai da tanti anni esistono approcci scientifici che riguardano le diverse tipologie di rischio, che consentono a chiunque si avvicini alle diverse pratiche sportive in montagna e naturalmente a chi ci vive e lavora di potere ragionevolmente limitare, ma mai azzerare, i possibili e molteplici pericoli. Questa educazione alla montagna è un caposaldo della prevenzione e obbliga tutti ad attenersi a regole e comportamenti che mai potranno annullare effetti nefasti di avvenimenti che si possono manifestare, ma almeno si può ridurre la loro incidenza e la drammaticità delle conseguenze. Su questo spesso mi domando se si fa abbastanza di fronte a certi avvenimenti. Ne parlavo, proprio in occasione della mia unica salita su una cascata di ghiaccio a Cogne, con la guida alpina che mi accompagnava, il già citato, poche righe fa per essere stato uno dei primi salitori della cascata dove si è svolto l'incidente, Ezio Marlier. E' uno dei campioni di questa specialità e in occasione della mia salita mi spiegò a lungo, anche mentre arrancavo con piccozze e ramponi, come nulla si debba lasciare al caso perché il ghiaccio ha caratteristiche che devono essere ben note e la prudenza non è mai troppa e si deve tenere conto di molti fattori e quello principale - che pare essere in gioco per quanto avvenuto ieri - la cangiante condizione del ghiaccio, che varia a seconda dall'alternarsi delle temperature e della loro incidenza sugli aspetti fisici della sostanza. Certo con lui io mi sono sentito in una botte di ferro ed è stata un'esperienza emozionante, ma non nascondo l'impressione di essere appeso e di progredire, pur ben assicurato, con una sostanza - il ghiaccio - che mi faceva impressione, come già mi era capitato salendo alcune zone sul ghiacciaio. Ieri Ezio era in Valgrisenche e l'ho sentito per telefono. Schietto come sempre, mi ha detto: «Certo faceva caldo e questo aumenta il flusso dell'acqua che scende dalla cascata, che può "staccare" di netto, per l'evidente spinta, il ghiaccio altrimenti "incollato"». Quel che è certo è che il crollo c'è stato e per i quattro appassionati, che i giornali locali liguri e toscani descrivono come esperti amanti della montagna, non c'è stato nulla da fare.