Sono giorni che volevo scriverne, perché il fatto di cronaca mi ha molto impressionato ed addolorato, avendo due figli poco più grandi che per fortuna hanno già attraversato gli anni più delicati dell'adolescenza, ma poi non trovavo le parole giuste. Oggi ce la faccio. E parto da chi sui fatti ha il coraggio di fare autocritica in un mondo nel quale in troppi, pur di non assumersi le loro responsabilità, si arrampicano sugli specchi. «Potendo tornare indietro, avrei rifatto quel blitz? Umanamente, dico di no. Col senno di poi immaginerei sicuramente un intervento diverso, con un supporto psicologico presente in casa. Penserei a una soluzione alternativa, ci sto ragionando tutti i giorni. Conoscendo l’esito tragico di quel servizio, adesso dico che era meglio non farlo», sono le valutazioni del Generale Renzo Nisi, Comandante provinciale della Guardia di finanza di Genova, che quella perquisizione l'ha gestita.
Nel blitz a Lavagna ha perso la vita, lanciandosi dalla finestra, il sedicenne Giovanni Bianchi, sorpreso dalle Fiamme Gialle con alcuni grammi di hashish fuori da scuola e poi accompagnato per una perquisizione a casa, dove si è gettato dal balcone. Ricordate i fatti? E' la famiglia a chiedere alla Finanza di intervenire, avendo scoperto che il figlio si fuma degli spinelli. Prima a scuola, poi la perquisizione a casa ed il tonfo nel cortile. Ha fatto bene Cristina Maggia, Procuratore capo della Procura dei minori di Genova a dire con garbo: «Una telefonata alla Procura dei Minori non era dovuta, né prevista: la Guardia di Finanza ha agito nella piena legalità. Non lavora quasi mai con noi, per lo più si occupa di reati che non hanno a che fare con i minori. Certo, quella telefonata, sarebbe stata utile. Sarebbe sempre prezioso un confronto tra chi solitamente non lavora con i minori e noi». Ed ha aggiunto: «Un operatore che lavora con i minori lo sa che un'operazione di questo genere ha un "effetto alone" importante sulla comunità intorno, un'operazione antidroga fuori dalla scuola ha un impatto decisamente brusco sui ragazzi». E' stata la mamma adottiva di "Gio" (veniva chiamato così) a parlare in chiesa durante le esequie: «Vi vogliono far credere che fumare una canna è normale, che faticare a parlarsi è normale, che andare sempre oltre è normale. Qualcuno vuol soffocarvi». Ed ha aggiunto: «Diventate protagonisti della vostra vita e cercate lo straordinario. Straordinario è mettere giù il cellulare e parlarvi occhi negli occhi. Invece di mandarvi faccine su "WhatsApp", straordinario è avere il coraggio di dire alla ragazza "sei bella" invece di nascondersi dietro a frasi preconfezionate. Straordinario è chiedersi aiuto proprio quando ci sembra che non ci sia via di uscita. Per mio figlio è troppo tardi ma potrebbe non esserlo per molti di voi, fatelo» . «Un pensiero particolare va alla Guardia di finanza - ha concluso - Grazie per avere ascoltato un urlo di disperazione di una madre che non poteva accettare di avere suo figlio perdersi ed ha provato con ogni mezzo di combattere la guerra contro la dipendenza prima che fosse troppo tardi. Non c'è colpa né giudizio nell'imponderabile e dall'imponderabile non può che scaturire linfa buona con ancora più energia per la lotta contro il male, grazie». Mi spiace ma queste parole, venate di inquietante millenarismo, aggiungono dolore al dolore, perché dimostrano la profonda e tragica incomprensione di questa donna verso il proprio figlio e le sue evidenti difficoltà nei rapporti familiari, per cui non vedo nulla di eroico in queste parole. Talvolta molto meglio il silenzio di fronte a certe tragedie. Appartengo ad una generazione che qualche spinello se l'è fumato e che ha visto molti amici morire di droga. Ho vissuto anche molto da vicino il lungo calvario di almeno due persone carissime, sprofondate inevitabilmente nel gorgo dell'eroina, che ha loro rovinato la vita e quella delle persone che gli erano vicine. Ma credo che la distinzione culturale e mentale fra droghe leggere e droghe pesanti debba essere un caposaldo (e la Legge in parte lo fa già) ed è un tema che va affrontato anche da parte delle famiglie per evitare che si facciano confusioni che sfocino in drammi. Poi sempre meglio rivolgersi prima a chi, come avviene nei "SerT" (Servizio per le tossicodipendenze), sa bene come operare, piuttosto che precipitare subito a certe conclusioni, facendo intervenire le Forze di polizia. Restano alcuni interrogativi posti dallo scrittore Roberto Saviano, postati a caldo su "Facebook", che qui riporto: «Ha più senso tracciare il fumo prima che arrivi nelle mani dei sedicenni o ha più senso punire il sedicenne consumatore? E' più accettabile che un sedicenne possa acquistare fumo in un coffee-shop o da spacciatori che hanno anche altro da vendere e soprattutto hanno a che fare con un sottobosco criminale dal quale sarebbe consigliabile tenersi alla larga? Il fumo che si spaccia davanti alle scuole, nelle discoteche, negli stadi e ovunque ci siano ragazzi è fornito dai cartelli criminali. Il problema sono loro o sono gli studenti che fumano? Si dirà: ma se non parti dal piccolo come arrivi al grande? Falso, perché il rischio è che si parta dal piccolo per fare gran numero di fermi e di perquisizioni, perché arrivare alla gestione delle basi è complicatissimo. Non sto attribuendo responsabilità personali, ma non è evidente anche a voi la sproporzione tra l'auto della Guardia di Finanza, con il lampeggiante acceso, ferma sotto casa del ragazzo di Lavagna e l'assenza totale di Forze dell'ordine nelle piazze di spaccio a cielo aperto delle periferie romane o napoletane, da dove presumibilmente quel fumo era arrivato?». Poi Saviano è tornato ieri con un articolo più complesso, forse non del tutto condivisibile, ma certamente sincero su "La Repubblica". Io, alla fine, quel che trovo che sia mancato è davvero il côté umano e certa spettacolarizzazione del suicidio è un male necessario solo se serve a capire questo: chi ha scavalcato il parapetto del balcone viveva una solitudine fatta anzitutto di incomprensioni.