Mi capita di pensare, specie quando viaggio in macchina ed è evidente il paradosso, a quando la macchina non c'era e a fantasticare su quanti mezzi, cominciando dai piedi, siano stati usati prima che l'auto - nel secondo dopoguerra, perché prima erano rarità - prendessero possesso, in coppia con la costruzione delle strade su cui viaggiare, delle nostre vite. Mio papà cominciò con una "Topolino" la sua esistenza di automobilista e la mia generazione ha visto - sin dall'infanzia e poi con la patente - cambiamenti epocali e ho assistito alla progressiva modernizzazione, come è avvenuto con la costruzione delle autostrade e con la diffusione popolare delle auto e la loro moltiplicazione.
Ma esiste anche un profondo ancoramento culturale della libertà derivante dalla motorizzazione privata: "On the Road - Sulla strada" è stato un romanzo cult per la mia generazione, scritto nel 1951, dello scrittore americano Jack Kerouac, che racconta una serie di viaggi in auto e in parte in autostop. La cui filosofia per la celebre "Beat generation" era: «Dobbiamo andare e non fermarci finché non siamo arrivati». «Dove andiamo?». «Non lo so, ma dobbiamo andare». Nessuno avrebbe potuto pensare che chi come avrebbe subito il fascino di certe idee sarebbe poi stato inchiodato dalla macchina come alienazione quotidiana. Oggi volevo scrivere dell'asfaltatura delle strade: tema forse banale, ma che - nella sua apparente semplicità - è la fotografia di qualche cosa che funziona o non funziona. Così mi ero fatto raccontare da un amico esperto del settore edilizio certi retroscena su qualità e quantità di materiali, che possono fare la differenza, compresi di conseguenza i controlli che devono essere esercitati per evitare che chi è committente di prendersi delle fregature. Ma certo, come in tutto, chi controlla i controllori? Specie se in certi casi - lo si dice da tempo di certi lavori autostradali - chi ha società in house, cioè aziende proprie, ha il vantaggio di asfaltare di più per ovvie ragioni attinenti più i bilanci che la percorribilità stradale. La seconda ragione per cui volevo parlarne è che noto un peggioramento delle condizioni del manto stradale quasi dappertutto e che questa situazione non sia solo negativa in se e per gli automobilisti locali, ma anche per i turisti che scelgono in larghissima prevalenza di arrivare in Valle o con propri mezzi o con trasferimenti sempre in auto. Percorrete una strada regionale - tipo la Val d'Ayas - e resterete esterrefatti della situazione di degrado, che deriva dai tagli a bilancio e certo sarebbe meglio tagliare altrove, in settori di secondo piano, se non superflui e vi assicuro che ce ne sono. Poi mi fanno impazzire certi tacconi che si vedono in giro: degno di arte contemporanea è una specie di ghirigoro di asfalto che si trova in zona autoporto a Pollein, sulla strada che conduce all'autostrada. Immagino, come altrove (penso a Saint-Vincent), della posa di fibra ottica e chi ha "tacconato" ha asfaltato quanto minimamente indispensabile. Esempio fra mille di questa "tacconite" acuta degna di quadri dadaisti, che mettono a dura prova gli ammortizzatori, già provati dalla varietà di dossi che ammorbano le nostre strade. Per non dire - a beneficio degli aostani - dei lavori infiniti del teleriscaldamento della "Telcha", opera di cui un giorno scopriremo l'inutilità. Ma l'asfaltatura, con criteri misteriosi anche per un esperto di crittografia, più commentata in queste ore è quella sulle Statali ad opera dell'"Anas", che rende la vita grama a noi poveri pendolari, costretti nei nostri spostamenti a sperare nella buona stella per evitare code epocali. Sapendo oltretutto che il traffico che intasa la ss26 è anche il frutto del fatto che le autostrade che portano verso Aosta dall'Alta o dalla Bassa Valle, malgrado certi sconti di cui fui il primo promotore, restano care come il fuoco e le prospettive prevedono aumenti senza fondo negli anni a venire. Insomma questo viaggiare diventa una quotidiana "rottura" fatta di code su strade che celano insidie fatte di buche e buchette...