Mi capita spesso di riflettere sul rapporto che è bene avere verso la Valle d'Aosta per la comunità che ci vive, ormai composita e come tale alla ricerca di elementi unificanti. L'Autonomia del passato più remoto faceva il pari con una logica comprensibile: le Pays d'Aoste, situato nel cuore delle montagne, si posizionò - con il suo intramontanismo - a difesa della peculiarità di un mondo alpino, che riteneva le forme di autogoverno e di tutela di certi particolarismi fiscali, giuridici e culturali come una necessità. Oggi, attraversati secoli e decenni, forti di un flusso che portò dal "Duché d'Aoste" al centralismo sabaudo, attraverso l'Unità d'Italia sino Fascismo e poi al passaggio da Monarchia a Repubblica, arrivando al regime statutario, è necessario capire come l'Autonomia contemporanea non debba mai vivere di rimpianti e neppure di una costruzione identitaria che appartenga al passato.
Oggi alla logica difensiva e protettiva una comunità viva - io non ho problemi a usare il termine impegnativo e coinvolgente di "popolo" - deve contrapporre un'attitudine offensiva e aperta. L'Autonomia non può essere chiusa in una dimensione localistica, ma confermare quello spirito di confronto e di legami esterni che avevano molti degli esponenti di spicco del mondo autonomista primigenio. Quando la visione culturale e politica richiedeva background che consentivano alla "question valdôtaine" di non essere una sorta di problema intestino, ma di apparire come un tema serio a fondamento delle nostre ragioni. Leggevo di recente cosa ha scritto sul sito di "Mouv'" Mauro Caniggia Nicolotti: «Essere valdostani è questo. Il "requisito" dovrebbe essere quello di saper cogliere quell'âme du Pays, ossia quelle abitudini che nel tempo hanno forgiato il sistema identitario della Valle d’Aosta e nel contempo contribuire a promuoverne una sintesi efficace nel vivere quotidiano facendone tesoro nel ricercare strategie per un futuro migliore. Le parole di Emile Chanoux - pubblicate nel 1927 - sono eloquenti in questo senso. Da giovane, durante un viaggio in treno verso Torino fu a Pont-Saint-Martin che percepì l'esistenza della sua terra. Fu in quell'istante "que se présenta à moi d'un coup, la pensée: "Ici finit la Vallée d'Aoste". Elle causa en moi un émoi étrange: je me jetai brusquement à la fenêtre du wagon et je regardai longtemps les montagnes de ma vallée, mes montagnes qui baissaient lentement vers la plaine». L'amore per la sua Valle irruppe improvvisamente colpendolo con la meraviglia dell'emozione: "d'un coup aussi un autre sentiment naquit en moi de cette révélation, et c'était la conviction absolue, je dirais mathématique, de l'existence de ma Vallée d'Aoste, comme de quelque chose de particulier, de vivant, d'uni à jamais et que rien ne pourra diviser et détruire. Et c'est ainsi que naquit en moi l'amour pour la Vallée d'Aoste, comme ma petite patrie, à moi, que j'avais le devoir d'aimer et de défendre, de conserver dans son intégrité morale et sociale et de tâcher d'ennoblir et d'enrichir par mon humble travail quotidien"». Sono parole scritte novant'anni fa e il mondo e le nostre vite - così come questa Valle - sono cambiati moltissimo e per evitare che certe parole siano un elemento museale, buono per alimentare una retorica stucchevole, bisogna guardare tutto con gli occhi di oggi, ma farlo con le stesse passione civile e partecipazione emotiva. Questo obbliga ad uno sforzo per capire come l'Autonomia vada considerata una realtà condivisa e come tale da tenere viva e non da considerarsi come un mausoleo ingrigito dal tempo che rappresenti, pur con tutta la sua nobiltà, il passato.