Chi mi segue sa che mi piace giocare con le parole e cercare nella profondità della loro storia le ragioni del loro uso. Naturalmente anche per un loro impiego nelle situazioni politiche, quando risulti necessario. Confesso - pur sapendo quante terribile storture si siano poi verificate - una particolare predilezione per quel trittico che imbeve la politica francese dai tempi della Rivoluzione francese - Liberté, Egalité, Fraternité - che poi si è irradiato, sotto diverse forme, nel mondo intero. All'inizio - lo racconta Yannick Bosc dell'Università di Rouen - questa "Fraternité" spunta come "formule de politesse" con la dizione "salut et fraternité", ma poi si afferma e già nel 1790 il sulfureo ma interessantissimo Robespierre scrive: «les gardes nationales porteront sur leur poitrine ces mots gravés: "Le Peuple Français" et, en dessous: "Liberté, Egalité, Fraternité"».
Più avanti dice l'autore: «La notion de fraternité est en effet directement liée à celle de l'état social, c'est-à-dire, en des termes qui nous sont contemporains, à la manière dont nous "faisons" société. (…) Les mots liberté - égalité - fraternité ne constituent pas des étapes séparées, des temps dissociés et juxtaposés, où on aurait à chaque nouveau terme une sorte de supplément, mais dont l'absence n'affecterait pas le terme précédent. Il n'y a pas d'abord la reconnaissance de la liberté puis, dans un second temps, la mise en pratique de l'égalité - qui serait une radicalisation - puis enfin, à l'horizon, la fraternité présentée comme une utopie. Au contraire, les trois termes disent la même chose sous trois formes. Nous retrouvons ici l'article 4 de la Déclaration de 1789: "la liberté consiste à pouvoir faire tout ce qui ne nuit pas à autrui: ainsi, l'exercice des droits naturels de chaque homme n'a de bornes que celles qui assurent aux autres membres de la société la jouissance de ces mêmes droits"». A me questo "Fraternité" piace molto e trovo che dovrebbe essere uno spunto su cui riflettere anche per il futuro della Valle d'Aosta. "Fraternità" è un sentimento ben presente nella cristianità, come cemento che dovrebbe accomunare i fedeli, fratelli nel loro afflato religioso e comunitario. Diventa un collante in epoca medioevale fra i cavalieri, nella logica di un giuramento di fedeltà e di aiuto reciproco e in fondo - lo vedremo - esiste un qualche appiglio anche nella sua riproposizione - quale valore etico fondante una società "nuova" - accanto a libertà e eguaglianza in epoca rivoluzionaria, per poi tornare - in una logica di solidarietà di classe - attraverso lo sviluppo del marxismo. Già in passato ho scritto di come si incrocino dibattiti sul curioso destino di due parole spesso messe assieme, appunto "fratellanza" e "solidarietà". Ha scritto sul tema lo studioso e accademico Antonio Maria Baggio, riprendendo un articolo di Stefano Rodotà, ed osserva: «Questo confronto tra fraternità e solidarietà non è nuovo. Il tentativo di sostituire l'idea di fraternità con quella di solidarietà è presente nel dibattito politico francese della seconda metà dell'Ottocento. (…) In generale, lungo l'arco di due-tre decenni, l’idea di solidarietà si impose e venne presentata all'opinione pubblica come vantaggiosa rispetto a quella di fraternità; anzitutto perché poteva assumere, per la mentalità positivista del tempo, una apparenza di scientificità, come interprete dei legami oggettivi di interdipendenza esistenti tra gli uomini nella società, mentre la fraternità veniva inserita in un ambito più soggettivo e affettivo; sembrava, inoltre, più facilmente utilizzabile come principio giuridico, mentre la fraternità si faceva valere soprattutto come dovere morale; infine, ed è l'argomento presentato ancora oggi da Rodotà, la solidarietà permetteva - almeno apparentemente - di conservare i contenuti della fraternità, tagliandone però i suoi legami con la sfera religiosa dalla quale proveniva: sembrava prestarsi meglio, di conseguenza, ad ispirare una azione civile e pubblica, di carattere non confessionale». Osserva più avanti l'autore: «Dire che la fraternità ha un legame con la religione è dire un'ovvietà. Ciò che ci deve interessare sono i contenuti culturali che queste idee di origine religiosa hanno trasmesso alle culture viventi, contenuti che si sono arricchiti e modificati nel corso delle esperienze storiche e che vengono assunti e vissuti indipendentemente dalla loro origine religiosa e dai sacerdoti, druidi o sciamani che ce li hanno trasmessi. Se le religioni dalle quali provengono i contenuti fraterni sono ancora vive e se esse continuano a nutrire la società con i loro contributi, questo costituisce un arricchimento, non un problema, dato che, nello spazio pubblico, gli elementi di fraternità vengono presi in considerazione per i loro aspetti civili e non per le eventuali motivazioni religiose che li producono». Certo rispetto alla Rivoluzione francese la fine non fu gloriosa: «La fraternità dunque cade; non perché sia, dei tre principi del trittico, il più fragile, come suggerisce Rodotà, ma perché cade il trittico intero: libertà, uguaglianza e fraternità avevano assunto significati nuovi proprio attraverso la loro relazione; una libertà fraterna non sarebbe mai degenerata nell'arbitrio della legge del più forte; né un'uguaglianza fraterna avrebbe prodotto sistemi sociali simili a carceri». La conclusione è speranzosa: «La fraternità come categoria di pensiero nello spazio pubblico non è, dunque, una facile soluzione ai problemi politici attuali; ma è certamente uno dei luoghi nei quali cercare le soluzioni. Accantonare la fraternità e la sfida che essa rappresenta significherebbe rinunciare a guardare la complessità del nostro tempo, che ci chiede di uscire dalle eredità ideologiche che ancora ingombrano il campo della democrazia, per riuscire ad essere, insieme, sia liberi che uguali». Per cui parlerò, quando mi capiterà, di "Fraternité"...