La storia ha un che di felliniano, di quelle atmosfere fine anni Sessanta che sanno di nostalgia e di odori e profumi che tornano accanto a tante immagini come mai nessuna macchina potrà fare, con buona pace dei robot che ci ruberanno ogni attività. Era un mondo diverso, spazzato in buona parte via da tante cose che hanno fatto irruzione, compresa una parte di liquidazione dei rapporti umani, oggi veicolati a questa roba - il telefonino - che trasfigura la nostra vita per vie digitali. Meno baci e abbracci, strette di mano e cazzotti, sguardi e sorrisi, lacrime e sudore e tutta quella mimica di noi scimmie evolute. Era un mondo fatto di cortili e balconi, macchine piccole piccole e pullman panciuti, di autostrade in costruzione e strade non sempre asfaltate, di un solo autogrill (il "Pavesi" a Novara) ed una moltiplicazione di distributori di benzina, di una televisione di Stato e di maestri che da soli dominavano una classe, di negozietti di alimentari minuscoli e di arrotini che gridavano in strada, di poche lire per un ghiacciolo e di merende con pane e burro...
In queste settimane di fine scuola, quando il "Giro d'Italia" per radio scandiva il tempo, la bicicletta - nel mio caso una bicicross con tre marce - diventava la protagonista nel vagare nel fondovalle con qualche compagno di scuola o di banda di paese. Quel che colpisce, quando poi ci ripensi, è che questa gente - già con gli amici, ma anche per gli adulti che incontravi - era uno straordinario campionario di umanità, che consentiva anche a noi paesani provinciali di poter poi affrontare il mondo intero, che è solo più grande di quello della nostra infanzia. La guardiania dei genitori era piuttosto lassa: il «fai attenzione» un riassunto efficace della necessità che - detta con un piemontesismo - ti "disciulassi" e se capitava qualche cosa erano guai. Non funzionava la prevenzione, ma si agitava la sanzione. E se tornavi con qualche abrasione da caduta erano in sostanza fatti tuoi ed il bruciore da acqua ossigenata la punizione. Roba impensabile oggi nel tempo di apprensioni e cautele. Fine maggio era il tempo delle ciliegie e lungo la Dora esistevano alberi ben noti su cui si saliva con cautela alla ricerca delle rosse prelibatezze. Ma era una campagna vigilata e ordinata, perché ancora da autoconsumo, e bisognava fare attenzione a non farsi beccare. Si aggirava la leggenda di fondoschiena devastati da fucili caricati a sale. In queste biciclettate un luogo singolare, raggiungibile con una salitella in una strada sterrata, erano i Castagneti (perché in mezzo a castagni spettacolari) di Issogne, dove allora compariva in uno spiazzo una struttura coperta in legno circolare. Un palchetto fisso che ospitava orchestrine e ballerini. Poi la struttura è cresciuta e oggi giganteggia, con cucine e grandi padiglioni. E la specialità prelibata per le cene che ruotano sono le costine di maiale, che si sciolgono in bocca in un fiorire di spezie. E' cambiata anche la mission: una volta - nel tempo che fu - tutto serviva a finanziare il vecchio Partito Comunista, in un paese, Issogne, imbevuto di falce e martello e di partigiani garibaldini, alcuni dei quali - come mostrano cippi nelle vicinanze - nella lotta di Liberazione ci hanno rimesso la vita e non hanno potuto vedere quelle trasformazioni sotto alberi secolari, dove avranno ballato di certo con le loro morose, sognando la loro vita, invece infranta. Oggi il Partito non c'è più e altri da tempo organizzano, così come il liscio non è più così centrale: a risuonare nell'aria sono musiche diverse, ma la memoria va a quel me stesso bambino che entrava nel padiglione vuoto con gli amici e rideva di gusto saltando sul pavimento in legno scricchiolante, immaginando i balli con le ragazze.