L'indipendentismo, che passa attraverso il diritto all'autodeterminazione, è un fenomeno ben noto per chi studi la storia, il diritto costituzionale e quello internazionale, così come le scienze politiche in senso più generale. Anche in Valle d'Aosta ci sono stati e ci sono indipendentisti con cui è giusto confrontarsi, sapendo quanto il tema sia serio e non vada snobbato. Ma si tratta di un argomento che va affrontato con competenza e conoscendo i risvolti giuridici e non inseguendo senza costrutto chissà quale sogno. Ho parlato con persone che ci credono e che manifestano uno spessore culturale ed ho letto, invece, cose scritte da chi non prende un canale sull'argomento e abbaia alla luna. Quando dico che è legittimo parlarne, segnalo come nella libertà d'opinione - anche se le norme penali italiane hanno ancora sul tema le stigmate dell'epoca fascista e da parlamentare me ne occupai - ci stia anche questo, a condizione naturalmente che non ci siano reati o violenze.
Non sono passati molti giorni dalla morte di un indipendentista sardo noto per la sua stravaganza alla fine di un lungo sciopero della fame, che aveva condotto in carcere per protesta e, malgrado le istanze affinché fosse liberato per motivi di salute, questo non è avvenuto e sul fatto post mortem è stata aperta un'inchiesta. Leggo con vivo interesse su questo caso umano, che assume risvolti politici, quanto scritto sul suo sito dal giornalista sardo Vito Biolchini: «No, non si può certo dire che Doddore Meloni fosse un "leader indipendentista": perché tutte le volte che negli ultimi anni era riuscito a mettere in piedi una lista prendeva letteralmente una manciata di voti, molti meno anche delle altre formazioni della grande galassia dell'autodeterminazione che pure non hanno mai brillato per consenso. La sua era piuttosto una battaglia solitaria, una avventura al limite dell'autolesionismo, suo e della causa che diceva di voler sostenere». Cita poi alcuni episodi della vita di Meloni, che contribuirono a costruire il personaggio e che trovate - se voleste approfondire - ampiamente descritte in Rete e su cui non mi soffermo: «La Repubblica di Malu Entu, i Doddollari, i misteriosi rapimenti e altre trovate simili (molto amate dai giornalisti ma molto meno dai sardi, che alle urne lo hanno sempre, giustamente, snobbato), erano solo delle performances che paradossalmente finivano per riportare l'ideale indipendentista in quel ghetto dal quale faticosamente stava provando ad uscire. Non posso nascondermi che per anni ho pensato che se qualcuno avesse voluto screditare l'idea di indipendentismo, avrebbe dovuto fare esattamente quello che Doddore stava facendo. Cioè finire sempre sui giornali grazie a iniziative controverse, spesso dal sapore esclusivamente pubblicitario. Ma questo era il personaggio: molti titoli, tante provocazioni (alcune sacrosante - come l'uso del sardo nelle aule giudiziarie - altre meno), e alla fine sempre pochi, pochissimi voti». Insomma, detto pane al pane e vino al vino, un personaggio borderline, preso persin troppo sul serio e le sue stesse "imprese" erano la dimostrazione di una passione politica che tracimava più in stranezze che in azioni politiche vere e proprie. Prosegue Biolchini: «Com'era possibile quindi avere paura di lui? Era evidente a tutti che se c'era qualcuno in Sardegna che non poteva rappresentare alcuna minaccia per lo Stato italiano, questo era proprio Doddore Meloni. Perché allora la magistratura sarda ha gestito la sua detenzione come peggio non si poteva? Fin dalle modalità di arresto (assolutamente spropositate) si è capito che la permanenza in carcere di Doddore Meloni è stata approcciata in maniera discutibile. Non solo: una volta iniziato lo sciopero della fame e della sete, è apparso chiaro a tutti che la situazione rischiava di degenerare. E non si può dire certo che la politica e l'opinione pubblica abbiano taciuto: non solo le sigle indipendentiste ma anche altre (come Forza Italia) hanno chiesto alla magistratura di valutare l'opportunità che la detenzione di Meloni in carcere venisse sospesa. Non solo: ci sono state delle associazioni che hanno detto chiaro e tondo che Doddore non poteva più stare in cella, ma ci sono stati anche dei magistrati che hanno messo nero su bianco il contrario. Chissà se stanotte prenderanno sonno. Forse pensavano di avere a che fare con un personaggio; ma una volta finito in carcere Doddore Meloni è diventato semplicemente una persona: non un leader politico ma un uomo di 74 anni che aveva intrapreso uno sciopero della fame e della sete e che come tale doveva essere trattato. Ad essere preservata doveva essere innanzitutto la sua salute e non certo l'onore di uno Stato che, anche se Meloni si era dichiarato "prigioniero politico", da lui non poteva subire alcun danno. Questo sacrificio di Doddore Meloni non solo è inutile ma andava assolutamente evitato: perché non c'è niente di più prezioso della vita umana e lo Stato la deve sempre preservare. La magistratura isolana, colpita dalla sindrome di Creonte senza che davanti non ci fosse alcuna Antigone, è invece rimasta sorda alle sollecitazioni di chi chiedeva di affrontare questa situazione in maniera radicalmente diversa: più giusta e più umana. Doddore Meloni non poteva e non doveva stare in carcere». Sottoscrivo con la sgradevole sensazione che l'insieme della sua storia, priva dello spessore di un Bobby Sands (il politico nordirlandese che morì analogamente in carcere), ne abbia fatto la vittima perfetta di un meccanismo burocratico insensibile e forse preveduto verso questo indipendentista rozzo, sottostimando gli esiti conclusivi. Questo colpisce, intristisce e indigna in un'Italia dove gli intellettuali cavalcano un mare di battaglie per tante cause - talvolta insignificanti - con petizioni infinite su qualunque cosa, non lo abbia fatto per la vita di quel poveraccio di Doddore. Gli indipendentisti - se si è un autotrasportatore dai modi spicci e dai comportamenti bizzarri - non sono chic, non sono trendy, non fanno figo e muoiono in galera nel 2017.