Amo i Cantoni Romandi della Svizzera e in particolare i nostri "cugini" della République du Valais con cui ci legano rapporti storici sin dalla più profonda antichità, dovuti alla vicinanza e al fatto che i confini sulle montagne comuni sono sempre stati labili e flussi di merci e di persone li hanno sempre attraversati facilmente. Basta studiare i cognomi da una parte e dall'altra per capire quali e quanti movimenti ci siano stati e ciò vale, tra l'altro, per tutte le Alpi, dove la permeabilità è sempre stata una caratteristica di colle in colle. Ho trascorso con loro momenti di discussione politica importanti e arricchenti ed anche occasioni di festa - sia nella sfera pubblica che privata - che mi hanno fatto scoprire che con i vallesani ci somigliamo molto e non solo per i vini o le "Reines". C'è qualcosa di profondo che consente questa affinità e una simpatia immediata.
Certo, i sistemi politici e amministrativi sono diversi ed è inutile dire quanto loro siano sempre incuriositi dal nostro regime di specialità ed io invidioso del loro sistema federale. Ma quel che conta di più è appunto la familiarità che si crea per usi e costumi che sono il frutto delle stesse montagne e di culture gemelle in molti aspetti e certo la comunanza è resa solida dall'uso della lingua francese, senza i complessi da parte nostro di avere accenti molto "francesizzati", visto che i romandi parlano un francese spesso ricco di cadenze che poco hanno a che fare con la modellistica del "francais de l'Île de France" e ciò vale a maggior ragione per il comune ceppo del francoprovenzale. Quel che ho sempre ammirato, quando il grado di confidenza è cresciuto, è di come - al di là delle diversità che compongono la Svizzera (basti pensare alle quattro lingue ufficiali: francese, tedesco, romancio e italiano) - gli elvetici siano davvero una miscellanea riuscita di famiglie di diversa provenienza, compreso un significativo numero di immigrati spostatisi nel tempo dalla nostra Valle. Ti siedi a tavola e trovi persone di origine di diverse regioni italiane, di discendenza spagnola portoghese, francese, ci sono cognomi dell'Est Europa o provenienti da altri Continenti. Ma in Svizzera si diventa svizzeri e non solo perché la cittadinanza prevede un esame che cambia a seconda dei Comuni nel nome della sussidiarietà, ma perché l'integrazione è una cosa seria e non lasciata al caso, con regole precise, e chi sgarra paga proprio perché il controllo sociale non ha bisogno di atteggiamenti polizieschi. Certo, in passato gli emigrati, italiani compresi, hanno tribolato ma i tempi sono cambiati. Qualcuno dice che la Svizzera è noiosa, specie i Cantoni tedeschi che certo non mettono allegria, ma esiste un ordine e un senso civico invidiabili e chi li critica dovrebbe fare - specie se italiano - un serio esame di coscienza. I valdostani, per chi ci conosce, non sono mai unificati al giudizio agro su certi vizi e virtù degli "italiens" e lo dico con il sorriso, pensando a che cosa gli italiani dicono degli svizzeri. Esiste - lo dicevo - un senso di complicità che ci differenzia e fa sì che i romandi in particolare scendono in Valle a fare la spesa, a mangiare ed a bere, a sciare o a bighellonare. Ora questa percezione di diversità dei valdostani viene colpita al cuore dalla vicenda, per me ancora opaca nelle cause vere di mancata prevenzione, del crollo nel tunnel del Gran San Bernardo che non ha ancora avuto una soluzione che consentisse sino ad ora una rapida riapertura. Feroce la stampa Svizzera e con il rischio di mettere in discussione persino certi lavori sul versante Svizzero lungo la strada di accesso. Lavori in parte avvenuti sulla nostra Statale, non fosse che da tempo ormai è fermo il cantiere nel tratto da rinnovare in galleria fra Etroubles e Saint-Oyen e anche questa - detto incidentalmente - è una figuraccia sull'inefficienza del sistema di appalti pubblici italiano. Comunque sia, senza commenti, riporto il recente articolo - letale per l'immagine della Valle - di "Le Matin" dalla penna di Erik Felley: "Depuis l'effondrement d'une poutre de ventilation côté italien le 21 septembre, rien n'a été fait au tunnel du Grand-Saint-Bernard pour le remettre en service. Maintenant que le col est fermé, tout le val d'Entremont (VS) se retrouve dans un cul-de-sac. Christian Bourquin, patron du "Joe Bar" à Bourg-Saint-Pierre, dernier café avant la galerie, confirme le désarroi ambiant. Hier, il n'a eu qu'un seul client de la matinée. «Un café à trois francs. Si cela dure des mois, je peux mettre la clé sous le paillasson». D'habitude, deuxmille voitures passent devant chez lui chaque jour. C'est la première fois depuis l'ouverture du tunnel, en 1964, qu'une telle situation se produit. L'ouvrage a été construit par les Suisses d'un côté, les Italiens de l'autre. Depuis, deux sociétés se partagent environ "fifty-fifty" les produits du péage, presque vingt millions de francs en 2016. Tout allait bien. Deux jours après l'incident du 21 septembre, les responsables ont dû admettre qu'il fallait rénover la ventilation sur 1,5 kilomètre côté italien. Un ingénieur n'hésite pas à dénoncer. «Ils auraient dû remplacer ces infrastructures depuis longtemps». Gilbert Tornare, membre du conseil d'administration côté suisse et président de Bourg-Saint-Pierre, regrette: «Si ce problème était survenu sur la portion suisse, le lendemain, une entreprise aurait été sur place». Dans un premier temps, des experts suisses et italiens ont fait une proposition de réparation. Les Italiens ont ensuite proposé une solution à eux, mais la sécurité a été jugée non conforme aux normes européennes. Depuis, c'est l'impasse. Cette situation illustre la soudaine fragilité de cet axe de transit international. À la suite de la votation pour "Forta", la route de Martigny jusqu'au tunnel rejoindra le giron des routes nationales en 2020. La Confédération paiera plusieurs millions par année pour son amélioration et son entretien. Acceptera-t-elle qu'elle s'arrête devant un tunnel fermé pour défaut d'entretien? À l'Office fédéral des routes, le porte-parole Guido Bielmann relativise. «Si la Confédération prend en charge ce tronçon, ce n'est pas que pour le transit vers l'Italie, mais aussi parce qu'il dessert une région». Mais à Sion, le chef du Service de mobilité du canton, Vincent Pellissier, voit l'occasion de se poser la question: «En termes de pérennité, pour un axe de transit de cette importance pour toute la Suisse, on peut se demander si une route nationale peut finir dans un cul-de-sac ou sur un péage géré par une société privée. Il faudra mener cette réflexion lors de l'échéance de la concession, en 2034». D'ici là, le tunnel devrait être rouvert...". Prendiamo e portiamo a casa e nel frattempo si parla ufficialmente del 15 gennaio 2018: speriamo in bene...