Dal passato arrivano fasci di luce che azzerano per la loro efficacia molte discussioni arzigogolate e spesso inutili su singoli argomenti, segno che briciole di saggezza sono davvero senza tempo. Scriveva Cicerone: «Historia vero testis temporum, lux veritatis, vita memoriæ, magistra vitæ, nuntia vetustatis». Tradotto suona così: «La storia è testimone dei tempi, luce della verità, vita della memoria, maestra della vita, messaggera dell'antichità». Su ogni singola osservazione si potrebbero spargere fiumi d'inchiostro, ma la sostanza - almeno per me rispetto in particolare alla ripetitività della Storia - è che ogni epoca ed ogni avvenimento hanno una loro impronta originale che non può essere fotocopiata tale e quale, non esistendo un "copia-e-incolla" funzionante. Ma il repertorio di comportamenti umani non essendo infinito che si riproponga qualcosa di molto simile non è fatto così astratto.
Per questo condivido un ragionamento di Massimiliano "Fix" Pegorari, che riprendeva - giorni fa - sul sito di "Mouv'" un pezzo di storia valdostana ad uso del presente, osservando: «Scrivono gli storici che fra le cause che portarono i sovrani sabaudi ad annientare l'autonomia valdostana in modo definitivo, sopprimendo il testo normativo valdostano ("Coutumier") per volere di Carlo Emanuele II nel 1773, ebbero la loro parte anche "des causes endogènes: les finances publiques, à cause de l'insouciance ou de l'incapacité des dirigeants valdôtains, étaient dans un état de faillite" (Andrea Zanotto, "Le particularisme valdôtain", 1986)». L'evocazione valeva per una decadenza dell'attuale politica valdostana che intacca dall'interno, come se ce ne fosse bisogno rispetto alla crescente incomprensione attorno alla specialità, la nostra Autonomia (che a breve perderà pure il diritto alla maiuscola). Tema che con altri - alcuni perduti per strada, avendo deciso di tornare indietro rispetto al cammino intrapreso - analizzo da anni e con vivo dispiacere non avendo certo il gusto di assistere allo sfascio per chissà quale rivalsa. Chi racconta il contrario non fa del bene e farà la fine di Matteo Renzi, cui si deve il primo uso veramente scientifico dello "storytelling", cioè della presentazione della realtà in forma narrativa e suggestiva della politica italiana e delle sue azioni di governo. Intendiamoci, la narrazione ha una componente di grande fascinazione. Ha scritto acutamente Johnatan Gottschall nel libro "L'istinto di narrare. Come le storie ci hanno resi umani": «La finzione, espressa con qualsiasi mezzo narrativo, è un'antica e potente tecnologia di realtà virtuale che simula i grandi dilemmi della vita umana. La finzione consente al nostro cervello di fare pratica con le reazioni a quei generi di sfide che sono, e sono sempre state, le più cruciali per il nostro successo come specie». Quindi è naturale farsi trascinare lungo il cammino dei sentimenti umani, sin dalle favole dell'infanzia, ma quando la narrazione incide sulla nostra vita e cioè si raccontano storie che finiscono per mostrarsi fasulle, allora casca ogni considerazione sul raccontatore e le sue belle storie. Ecco perché chi abusa di promesse confezionate in una sorta di epopea, talvolta pure autocelebrativa, avrà poi un "effetto boomerang". Perché si spettacolarizza anche quanto mai avvenuto in un semplice effetto annuncio, che alla fine si spezza come un incantesimo quella empatia che si crea con chi ti illustra scenari inesistenti. E' questo un elemento importante pensando proprio alla decadenza settecentesca, quando il centralismo sabaudo si mangiò quanto restava dell'autonomia valdostana del "Duché d'Aoste", perché rispetto ad allora - quando ovviamente non c'era la democrazia - a contare sulla scena ci sono anche gli elettori, che contano soprattutto come cittadini, che dovrebbero essere i primi a difendere le Istituzioni che li rappresentano. Ma oggi i racconti suggestivi non nascondono le crisi profonde del nostro sistema politico e ciò non solo per gli errori personali o le malefatte di chi è stato eletto. E' qualcosa di più profondo: è un baratro che si è aperto su cui bisogna costruire ponti per poter ripartire. Ma bisogna farlo non invocando un cambiamento astratto, ma facendo un elenco serio di cose da fare con cui - senza contare troppe balle - fare squadra.