Sss… il silenzio elettorale incombe e dunque non dobbiamo parlare, anzi parliamo sottovoce per non disturbare. Questo famoso "silenzio" è una norma che da sempre contraddistingue dagli anni Cinquanta ogni elezione, nazionale o locale, che si svolge in Italia. La normativa di fondo resta quella del 1956, malgrado qualche modifica intercorsa, specie sui mezzi di comunicazione come radio e televisione. Vale a dire che nel giorno precedente ed in quelli stabiliti per le elezioni, "sono vietati i comizi, le riunioni di propaganda elettorale diretta o indiretta, in luoghi pubblici o aperti al pubblico, la nuova affissione di stampati, giornali murali o altri e manifesti di propaganda. Nei giorni destinati alla votazione altresì è vietata ogni forma di propaganda elettorale entro il raggio di duecento metri dall'ingresso delle sezioni elettorali". Regola strana quest'ultima, perché non si capisce bene cosa si potrebbe fare a 201 metri, visti gli altri divieti: bizzarrie del legislatore.
Strano è per altro che mai ci si sia adeguati a quanto appare ormai ordinariamente su "Facebook", "Twitter" & co., dove in una sorta di gioioso Far west non esiste alcun silenzio da rispettare, per cui sui "social media" c'è chi imperversa senza pietà. Beppe Severgnini sul "Corriere della Sera" scriveva tempo fa: «Il "silenzio elettorale" è il simbolo di un'Italia retorica, che usa alcune consuetudini come clave (e ignora le regole, se le conviene). Così è stata utilizzata, per anni, anche la "par condicio": un modo di pulirsi la coscienza e ignorare la realtà dei media (fatta di giganteschi conflitti d'interesse, politica in ogni angolo della televisione, social incontrollabili e fortunatamente incontrollati). Gli psicologi studiano da tempo un atteggiamento chiamato "fissità funzionale": vediamo solo l'uso più comune di un oggetto, e questo blocca qualsiasi innovazione. Celebre esempio di scuola: se l'equipaggio del "Titanic" avesse capito che quell'iceberg micidiale poteva diventare un rifugio temporaneo per i passeggeri, i sopravvissuti sarebbero stati molti di più. In Italia non abbiamo iceberg, ma in molti possiedono la vocazione del "Titanic": vanno allo schianto, inflessibili e prevedibili, blindati nei propri preconcetti. Tutti sanno che, nel secondo decennio del XXI secolo, il "silenzio elettorale" è un'idea fuori dal tempo, quasi ridicola. Tutti capiscono che, mentre nei nostri smartphone passa il mondo, la "giornata di riflessione" può costituire una lodevole scelta individuale, non un'impraticabile regola generale. Pochi hanno il coraggio d'ammetterlo, però. Preferiscono far finta di niente». Per vale il detto "zitto e mosca", lo stesso adoperato da chi nei comizi finali ha taciuto sull'onda giudiziaria che ha investito la Valle d'Aosta, limitandosi alla linea difensiva del «chiariremo tutto» con buona pace di quei buontemponi della "battaglia interna", che devono essere ancora nascosti nella giungla a prepararsi per le battaglie sinora mai fatte. Su "Lettera 43", per chiudere con allegria ho trovato la spiegazione di come nasce il modo di dire: "Il detto popolare "zitto e mosca" è da sempre diffusissimo e, ancora oggi, è ampiamente utilizzato, soprattutto nelle zone un po' meno sviluppate, in cui continuano ad essere utilizzati i modi di dire di una volta. Tutti noi abbiamo sentito utilizzare questa simpatica ammonizione, come anticipazione di una sgridata o di una più severa punizione, ma è difficile immaginarne l'origine o quanto meno capire cosa c'entri la mosca col silenzio. Una possibile interpretazione potrebbe far pensare che parlare di mosca serva ad abbreviare una frase che andrebbe ad assomigliare ad un altro famoso modo di dire, "non voglio sentir volare una mosca". In verità però questa spiegazione non può soddisfare molto, in quanto, in questo secondo caso, sembrerebbe che addirittura il rumore di una mosca possa risultare fastidioso, dunque questa non sembra essere una via percorribile. Una spiegazione più ragionevole è offerta dal vocabolario abruzzese "Bielli", in cui è contenuta l'espressione "moscate", che significa "fate silenzio": stando a tale verbo dialettale, "mosca" diventerebbe la seconda persona singolare dell'imperativo e non sarebbe più un sostantivo che rinvia al noto animale. In questo caso l'argomentazione sembra ragionevole e il modo di dire diventerebbe "zitto e fai silenzio". Ma da dove deriverebbe il verbo abruzzese "moscare"? Forse dal latino "mussare", che significa bisbigliare, tacere, abbassare la voce. Anche in greco si trova qualcosa di simile, in quanto in questa lingua la radice "mu" sta ad indicare il verbo "chiudere". Se si considera che in molti passi di autori latini il verbo "mussare" è diventato "muscare", l'origine del verbo "moscare" appare evidente. Se questa interpretazione è corretta, si potrebbe addirittura immaginare che il modo di dire "zitto e mosca" sia nato dal latino o comunque da una sua ripresa, senza il riferimento alla mosca animale. Col tempo la fantasia avrebbe portato ad identificare il silenzio indicato dal verbo con la il ronzio della mosca: se c'è silenzio, si deve avvertire anche il battito delle ali dell'insetto più piccolo". Da lunedì dominerà il rumore, spero molto rumore e dunque godiamoci il silenzio...