Mi capita spesso di adoperare delle citazioni, ma trovo che sia necessaria una grande attenzione nel loro uso, perché c'è il rischio di citare gli autori sbagliati - nel senso di personaggi orribili, di cui è meglio fare a meno - oppure esiste il pericolo di prendere dei terribili abbagli, che stravolgono il pensiero di chi scrisse quelle frasi, ponendole in un contesto diverso. Ci pensavo rispetto a questa storia del nuovo premier italiano che ha fatto una specie di "matrioska", citando una citazione citata da altro autorevole personaggio, che già aveva sbagliato a sua volta e dunque l'errore - per chi ha ricopiato - si è come raddoppiato.
Così ha ricostruito i fatti Andrea Mollica su "Giornalettismo": "Giuseppe Conte, o chi ha scritto il discorso per lui, ha fatto un errore piuttosto grosso nell'intervento svolto di fronte al Senato della Repubblica. «Le forze politiche che integrano la maggioranza di Governo sono state accusate di essere populiste, antisistema. Bene, sono formule linguistiche che ciascuno è libero di declinare. Se populismo è l'attitudine della classe dirigente ad ascoltare i bisogni della gente - e qui traggo ispirazione dalle riflessioni di Dostoevskij, nelle pagine di Puškin - se antisistema significa mirare a introdurre un nuovo sistema che rimuova vecchi privilegi e incrostazioni di potere, ebbene, queste forze politiche meritano entrambe queste qualificazioni», dice il presidente del Consiglio. Rachel Donadio, giornalista di "The Atlantic", ha trovato la probabile fonte dell'intervento di Giuseppe Conte, la conferenza stampa tra Emmanuel Macron e Vladimir Putin svolta alcuni giorni fa a San Pietroburgo, in cui il presidente francese aveva citato proprio il discorso di Dostoevskij su Puškin. «Je suis convaincu que nos deux pays ont vocation et intérêt à définir, pour reprendre les termes de Dostoievski dont nous parlions tout à l'heure dans son discours sur Pouchkine, un vrai terrain de conciliation pour toutes les contradictions européennes» («Io sono convinto che i nostri due Paesi abbiano vocazione e interesse a definire, per riprendere le parole di Dostoevskij delle quali parlavamo poco fa nel suo discorso su Puškin, un vero terreno di conciliazione per tutte le contraddizioni europee»), ha detto Macron. Il presidente francese indicava questo passaggio del discorso di Puškin tenuto da Dostoevskij all'inaugurazione del monumento dedicato al grande scrittore russo". L'esperta di cose russe, Anna Zafesova, su "Rolling Stone" svela ancora meglio il concatenamento da gaffe: "Nelle pagelle del nuovo governo Conte, in attesa della prova di economia, politica sociale, fisco e immigrazione, si profila già la prima bocciatura, in storia e letteratura russa. Un argomento solo a prima vista irrilevante, visto che è il rapporto con Putin a essere la principale svolta in politica estera promesso dalla coalizione giallo-verde. Lo sfoggio di cultura del neo presidente del Consiglio, che nell'aula del Senato ha citato Dostoevskij e Puškin, è di quelli che possono far fare un figurone, o portare a una figuraccia clamorosa. Pietra miliare del dibattito tra slavofili e occidentalisti dell'Ottocento, il discorso del primo all'inaugurazione del monumento al secondo, pronunciato nel 1880, è roba raffinata, alta slavistica. A parte la costruzione della frase - «prendo spunto dalle riflessioni di Dostoevskij tratte dalle pagine di Puškin» - che rende difficile capire chi ha tratto ispirazione da chi (alla morte del poeta il futuro autore di "Delitto e castigo" aveva 15 anni), Conte disturba i grandi della letteratura russa per definire il populismo: «l'attitudine della classe dirigente ad ascoltare i bisogni della gente». Una frase che Dostoevskij non aveva mai detto né scritto, e con la quale non sarebbe d'accordo. Monarchico, nazionalista, conservatore, convinto sostenitore della sacralità del governo, intriso di misticismo ortodosso e pieno di odio verso qualunque rivoluzione e rivoluzionario, Fiodor Mikhailovich non poteva essere una scelta peggiore di testimonial della rivolta antikasta pentastellata. Ma soprattutto, nel discorso su Puškin non aveva parlato di populismo né di sistemi di governo. I suoi strali erano tutti diretti all'intellighenzia filoeuropeista - e qui si potrebbe trovare d'accordo più con la Lega che con i 5 Stelle - che si era "staccata dal popolo" per proporre alla Russia l'odiato progresso del parlamentarismo. E per popolo si intende solo quello russo, portatore di quei valori spirituali assoluti che avrebbero redimere l'Europa "divisa e vacillante". Una citazione sulla quale pochi giorni prima era già scivolato Emmanuel Macron, ricordando a Vladimir Putin come la vocazione europea sia geneticamente iscritta nel DNA russo. Peccato che Dostoevskij intendeva l'esatto contrario: dovevano essere gli europei a convertirsi alla mistica unione tra popolo e zar che il romanziere considerava il tratto vincente del popolo russo. Per un grillino sarebbe stato più appropriato citare Lenin, con la sua idea che anche una cuoca può governare uno Stato". Una zampata niente male e la dimostrazione che si deve essere cauti e, nel caso di Conte, tenendo in debita considerazione la difficoltà del cimento di neofita in Parlamento chi ha scritto il discorso (quando Conte è andato a braccio ha fatto di peggio) o suggerito il passaggio incriminato dovrebbe prendersi una bella sgridata. Altro esempio in tema di citazioni l'ho letto su "Internazionale", in un articolo dello scrittore Domenico Starnone. Seguite il ragionamento molto interessante, perché esemplificativo: "Il monologo del replicante Roy Batty ormai prossimo alla rottamazione (è uno dei pezzi forti di "Blade Runner": «Ho visto cose che voi umani...») ha avuto - si sa - una grande meritata fortuna. E' infatti una sintesi molto efficace di un antico terribile tema: la morte come spreco penosissimo. Roy dice, in sostanza: acquisiamo, vivendo, un bagaglio cospicuo di esperienze, conoscenze e abilità con cui potremmo fare sempre meglio, ma poi si muore e tutto va in malora. Bene, col tempo l'umor nero di quella battuta s'è scolorito. Basta prestare orecchio alle chiacchiere per strada, sui mezzi pubblici, in televisione, per rendersi conto che del monologo di Roy è prevalsa la prima parte soltanto. La gente gode a buttar lì con fierezza: «Ho viste cose che voi umani nemmeno vi immaginate». O a esprimere entusiasmi turistici: «Bellissimo, abbiamo visto cose che voi umani ve le sognate». Senza contare la sbruffonata da bullo: «Ho visto cose che voi subumani ve le sognate». Ma capita sempre più raramente di pescare qualcuno che, sebbene la battuta sia breve, ne custodisca il senso complessivo e lo riusi. Eppure cinema e televisione mettono sempre più in circolazione storie in cui il problema è come trasbordare la coscienza oltre la morte. Evidentemente la calma disperazione del replicante gli umani fanno il possibile per tagliarla fuori dalla vita quotidiana e dimenticarla". Meditazione di grande utilità.