E' singolare come il mondo della politica talvolta si areni nel solo pensiero fisso delle elezioni, considerate non come tappe importanti che costellano il cammino normale di una comunità in democrazia, ma diventate in certi casi una sorta di preoccupazione ossessiva, che trasforma intere Legislature in campagne elettorali a tempo pieno e plasma alcuni che fanno politica in persone fissate e piegate in modo nevrotico dalla febbrile logica di acquisire consensi. Una specie di malattia che imprigiona ogni progettualità o scelta avanzata se ci si limita a pensare che ogni questione serva o meno ad espandere od a ridurre il proprio bacino elettorale. Segnalo che a peggiorare questa situazione ci pensano i "social" che al posto di essere strumento di democrazia da adoperare con circospezione e misura, rischiano di diventare luogo di vanità continua e di febbre di annuncio di politici desiderosi di essere piacioni e pure terreno di sfogo e frustrazioni di "tupamaros" del Web che, con lo stesso effetto di una cacca in un ventilatore, al posto di aiutare a trovare sintesi sugli argomenti arroventano le discussioni e buttano in vacca il cuore della politica: risolvere i problemi.
Specularmente alla paranoia elettoralistica ed alla mania di apparire, partiti e movimenti diventano comitati elettorali in una logica quasi da "usa e getta", perché all'attivismo in periodo elettorale quando si viaggia a gonfie vele, si entra poi in una bonaccia in cui a prendere le redini ci pensano i soli eletti, alla fine ben lieti che le forze politiche cadano in un sonno ristoratore per poi risvegliarsi quando si sente l'odore delle urne. Ma questo venir meno del ruolo propulsivo dei partiti disattende quella norma dell'articolo 49 della Costituzione, che dice "Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale". "Determinare la politica": questa espressione andrebbe memorizzata e dovrebbe avere una sua valenza anche laddove la presenza di partiti regionalisti e autonomisti - a me piace non dismettere anche l'aggettivo "federalisti" - dovrebbe rendere ancora più ricco il confronto ed il dibattito. Ed invece non sempre la moltiplicazione dei soggetti significa un pluralismo arricchente per la semplice ragione che solo un'agorà più vasta e con tante teste e tante idee sortisce quel reciproco arricchimento che invece rischia di essere soffocato se ognuno guarda più al proprio ombelico che al resto. Pensiamo appunto, come variante della sindrome da voto, alle difficili trattative in corso per dare un Governo alla Valle d'Aosta per via dello spezzettamento causato dal sistema proporzionale, pur corretto da un discreto sbarramento ed allo spettro che si aggira delle eventuali elezioni che più che "anticipate" sarebbero "susseguenti" alla mancata costruzione di una maggioranza di governo. Per altro con il "pasticciaccio alla valdostana" che, in caso di voto, si tornerebbe - per via della provvisorietà della legge con cui si è votato a maggio - a votare con la vecchia legge, quella che aveva sortito il famigerato "diciotto a diciassette" in Consiglio Valle. Anche se in verità molti scenari, anche con la nuova legge che pareva stabilizzatrice (ma il 42 per cento come "quorum" per avere ventuno consiglieri era troppo elevato), non danno esiti realmente dissimili e forieri di governabilità, perché trovare numeri che diano un sospiro di sollievo non è agevole. Il rischio reale di questa situazione melmosa è che si immaginino o disegni così distanti da essere irrealistici (si guarda la luna al posto del dito) oppure ci si inchini a soluzioni transitorie senza radici (un dito senza luna). Può darsi che, come sempre, esistano soluzioni mediane che consentano di contemperare esigenze immediate e lancio di geometrie future che servano alla Valle. In questo contesto se le forze politiche saranno, almeno in parte, dei "pensatoi" e non solo laboratori in cui distillare maggioranze e fabbricare organigrammi, allora ci sarebbe qualche speranza di rianimare l'elettorato valdostano, che ormai sembra rassegnato a infilarsi nel limbo del "non voto" come risposta a mio avviso inefficace. Quando semmai dovrebbe essere utile il suo contrario - vale a dire l'impegno civico, compreso il voto come uno dei passaggi dei diritti-doveri di cittadinanza - a dimostrare che il disimpegno è un "vuoto a perdere" e la protesta si sostanzia in qualche cosa di concreto, non bucando o portando via il pallone come nelle liti calcistiche fra bambini. Ma questo presupporrebbe un ritorno di fiamma fatto di fiducia e partecipazione, che sono termini delicati che la Politica stessa, anche qui da noi, ha svilito come una moneta preziosa di cui si disconosce ormai l'esistenza per le troppe falsificazioni, che sono poi gli impegni assunti o le promesse formulate che hanno innescato una reazione di rigetto dentro la quale siamo ormai immersi. Resta da sperare che qualcosa, anche nel piccolo, si muova nella direzione giusta.