La paura nei confronti del diverso da noi - di questi tempi al centro del dibattito c'è il flusso che appare senza regole dei migranti - è un sentimento umano e come tale va trattato e compreso, ma questa situazione va ben canalizzata e sdrammatizzata per evitare che sfoci in violenza e alimenti forme estremistiche e passionali. Esiste quel termine antico, che ormai usiamo solo più scherzosamente, che è "bàrbaro", usato dagli antichi Greci e i Romani per indicare una stirpe o una civiltà diversa dalla loro, uno straniero che - a confronto - appariva come espressione di un mondo considerato come incivile, primitivo, selvaggio. Ad essere più preciso il greco "bárbaros" ed il latino "balbus, balbuziente", indicavano nello straniero colui che parla una lingua incomprensibile e che dunque balbetta sillabe senza senso per chi non sia in grado di comprenderle.
Questo per dire che esiste qualcosa di atavico, che va combattuto con le ragioni dell'intelligenza e con quei principi di democrazia e tolleranza che ci appartengono. Tuttavia, sia chiaro che proprio questi stessi principi si basano su logiche di reciprocità e di civile convivenza, premesse indispensabili per evitare che si alimentino incomprensioni se non scontri veri e propri, che mutino la sostanza delle nostre democrazie. Democrazia che è fatta per tutti di diritti e di doveri. Ci riflettevo, leggendo su "HuffPost", un articolo molto interessante di Giuseppe Corsentino sul suo blog. Il tema si collega ai timori appena avanzati e riguarda uno dei punti cardine: quanto preoccupa dell'islamismo e del suo impatto sulla nostra società, nella quale - sotto il profilo del diritto costituzionale - si riconosce il valore derivante dal pluralismo religioso come elemento da tutelare. Ma l'islamismo radicale ha cambiato la visione e questo non riguarda solo l'arrivo di migranti che ne siano portatori, ma anche - come in alcuni Paesi occidentali - per la sua incidenza su cittadini di seconda, terza generazione, che si atteggiano o diventano di fatto nemici delle società e dei sistemi istituzionali, che siamo manifesti o occulti nel farlo per una scelta ideologica distruttiva. Corsentino racconta della Francia: «Adesso si vedrà se il presidente Macron, così come aveva promesso al suo arrivo all'Eliseo e confermato dopo la strage di Carcassonne della primavera scorsa (un ufficiale della Gendarmerie ucciso da un commando di terroristi islamici in un supermercato), finalmente "donnera à l'Islam un cadre et des règles garantissant qu'il s'exercera partout de manière conforme aux lois de la République"; se, insomma, riuscirà a realizzare quel "plan pour l'Islam", cioè dare regole precise alla comunità mussulmana che rappresenta la seconda religione del Paese ma al cui interno proliferano terrorismo (ci sono quasi 15mila "fichés S", schedati dalla polizia e dai servizi di sicurezza, come si sa), violenze piccole e grandi (soprattutto nei quartieri popolari e nelle banlieu e soprattutto contro le donne) e diserzioni, chiamiamole così, dai doveri di cittadinanza (soprattutto nella scuola e nelle comunità giovanili: ci si sente mussulmani piuttosto che "citoyen de la République"). Su questa frattura che è sociale antropologica prima ancora che politica (col rischio paventato da molti intellettuali, dallo scrittore visionario Houellebecq, l'autore di "Submission", a saggisti e politologi come Zemmour e Finkielkraut), è appena arrivata una conferma allarmante da una fonte e da un autore non sospetti, l'"Institut Montaigne", solido e apprezzatissimo think tank liberale, anzi "platform de réflexion" per dirla alla francese, guidato da un manager potente e stimato come Henri de Castries (ex numero uno della compagnia d'assicurazione "Axa") e il sociologo franco-tunisino Hakim El Karoui, nipote dell'ex primo ministro di Tunisia, Hamed Karoui, consigliere dell'ex presidente Ben Alì e, per un certo periodo, perfino banchiere "chez Rothschild", proprio come Macron». Consiglio caldamente - avendolo fatto - la lettura di questo rapporto, che Corsentino così riassume: «Che cosa scrive Karoui nel report che accompagna la ricerca su cui hanno lavorato per mesi gli esperti dell'Institut Montaigne? Scrive che il salafismo, che è la corrente più radicale e più oscurantista dell'Islam, è ormai egemone nella comunità mussulmana francese come dimostrano tutti i dati di tutti gli osservatori (dalla polizia ai servizi segreti fino alle stesse rilevazioni del "Conseil de l'Islam de France", una sorta di concistoro delle varie moschee e degli imam) analizzati e confrontati dai ricercatori. La crescita del salafismo francese è, in effetti, impressionante: erano poche migliaia i fedeli e i seguaci all'inizio degli anni '90; oggi sono almeno 50mila con un balzo, fa notare il report, del 900 per cento. E probabilmente si tratta di una sottostima visto che tiene conto solo degli adepti dichiarati, dei frequentatori delle moschee e non dei "simpatizzanti", di quell'enorme zona grigia che emerge solo quando certi fatti, anche minimi, di cronaca (per esempio, la sparizione dell'alcol nei bar dei quartieri a forte presenza mussulmana o l'invasione di donne velate per le strade degli stessi quartieri) li portano, come si dice, alla ribalta. "Le salafisme" si legge nel report "ne costitue-t-il que la face émergée de l'icerberg a l'huere où les theses islamiste gagnent du terrain". E' solo la punta di un iceberg sociale e politico che emerge drammaticamente nel caso di attentati e di episodi di violenza (e tra questi ultimi come non ricordare le insolenze nei confronti delle donne non mussulmane e non velate quando passeggiano per le vie di certi quartieri ormai "off limits" come Porte de la Chapelle nel Nord Est di Parigi?), ma che galleggia e si muove pericolosamente sotto la superficie del mare repubblicano (al punto da far dire al quotidiano "Le Figaro", che ha anticipato il report dell'Institut Montaigne, che ormai siamo di fronte a "une défi de civilisation" e che "face à ce péril, c'est toute la société française qu'il faut mobiliser", non bisogna aspettare che l'estremismo islamico, salafiti e wahabiti, prenda il sopravvento)». Sconvolgente - salto qualche paragrafo - è l'impatto di Internet e la sua capacità persuasiva che si diffonde come un veleno e ciò nulla ha a che fare con la libertà religiosa: «Da qui partono i clic dei follower transalpini che portano alle webstar del salafismo internazionale, per dire a tipi come Mohamed Al-Arifi, teologo saudita che si è sempre schierato con Al-Qaida e con Daesh e che ha più di 21 milioni di follower su Twitter, all'ottavo posto nella graduatoria mondiale dei cinguettii condivisi, appena sotto Trump (52 milioni di follower) e Papa Francesco (33 milioni). Lo studio dell'Institut Montaigne fa l'elenco preciso di questi cattivi maestri che influenzano i giovani mussulmani francesi (e non solo loro, ovviamente). Ci sono Rashid Al-Afasy, imam della Grande Moschea di Kuwait City con i suoi 14 milioni di follower; Aid Al-Qarni, 20 milioni di follower, predicatore e scrittore, autore di una fatwa contro il presidente siriano Assad; Salman Al-Aodah, 15 milioni di follower, teorico della jihad contro gli Stati Uniti, e decine di altri incitatori all'odio, quasi tutti sauditi o quatarioti. Cioè dei due paesi arabi che hanno più investito milioni di euro in Francia comprando palazzi e grandi alberghi e che finanziano un numero imprecisato di moschee. A questi due grandi attori di quello che l'Institut Montaigne definisce "le marché mondial de l'islamisme", ora s'è aggiunta la Turchia di Erdogan. Il sultano di Istanbul ora vuole far pesare non tanto i soldi (che non ha) quanto il numero dei suoi concittadini emigrati in Europa (tre milioni in Germania, 500mila in Francia)». La conclusione di Corsentino è condivisibile: «Allora, è questo che rende più complicato quel "plan pour l'Islam" tante volte evocato e promesso da Macron? Certamente il "projet panislamique du président turc régulièrement présenté comme antieuropéen" (così l'ha definito con parole aspre lo stesso Macron incontrando gli ambasciatori all'Eliseo alla fine di agosto) non aiuta. "Ce sont des matières complexes qu'il faut manipuler avec precaution", si tratta di materie complesse e difficili che bisogna trattare con precauzione, ribatte l'entourage macroniano. Ma ci si chiede: qual è il confine tra la prudenza e l'"indetermination", il non sapere che fare, come ha rivelato (protetto dall'anonimato) un deputato della maggioranza interpellato da "Le Monde"? Certo, l'Eliseo ha buon gioco a dichiarare che il Presidente ha autorizzato nei mesi scorsi "avec la plus grande rigueur", con il massimo della severità, la chiusura di tre moschee di osservanza salafita a Marsiglia, a Aix-en-Provence e Sartrouville. Ma un "plan pour l'Islam de France", una vera politica verso le comunità mussulmane non si fa (solo) con le chiusure delle moschee più pericolose e l'iscrizione di migliaia di islamici (islamisti) nel gigantesco archivio dei "fichées S". La sfida, in effetti, è tremenda: far convivere i valori e la laicità della République con la seconda religione del Paese. Mentre i follower degli imam più radicali aumentano e alimentano "l'alarmante propagation de l'idéologie islamiste" come ha fatto sapere l'Institut Montaigne nel suo studio. Che prima di arrivare alle redazioni dei giornali è stato spedito personalmente al presidente Macron. Perché rifletta e decida». Ci vorrebbe, scevro da ogni logica propagandistica ma con l'approccio di una ricerca scientifica e dunque neppure limitata ai pur utili rapporti di polizia e alle sentenze dei giudici, uno studio analogo sulla situazione italiana, che ha certo caratteristiche proprie, ma non so sino a che punto sondate e per ora affrontate con un approccio emotivo e propagandistico, che nulla cambia nella sostanza del fenomeno.
P.S.: qui c'è lo studio dell'Institut Montaigne.