Ascolto Giuseppe Conte, rinato Premier dalle proprie ceneri, quando annuncia una una forte azione riformatrice e ciò mi incuriosisce in prima istanza per una sorta di bipolarismo di chi contraddice sé stesso nella prima esperienza di Governo, così come colpisce il contenuto sospettosamente multiforme del suo intervento per la fiducia alla Camera. Dove, ad essere chiaro, il riferimento alle Speciali è stata una modesta appendice al capitolo sulla democrazia locale con il banale e ritrito "occorre anche garantire e tutelare, con la massima intensità, le autonomie a statuto speciale e le minoranze linguistiche". Se serve per avere la fiducia della componente Autonomie, compreso il senatore Albert Lanièce, meglio avere qualcosa in più che questa genericità. Ma in dichiarazioni fuori aula Conte ha ribadito che sarà anche una "Legislatura costituente". Ohibò!
Sul punto è bene premettere prima una parte della definizione di Costituzione, proposta dal filosofo della politica Sandro Chignola: «Il termine deriva dal latino "constitutio", atto del "constituere" ("istituire", "fondare"). Sin dalle origini, oltre ad un significato "naturalistico-descrittivo" (nella latinità si parla in questo senso di "corporis firma constitutio" intendendo quest'ultima come "complessione", "condizione" fisica), il termine assume valenze tecnico-giuridiche. Nel Medioevo, con "Costituzione" si designa un titolo di franchigia o di immunità coincidente con una specifica "libertas" accordata solennemente dal principe ad un corpo, un comune o una città. Il termine si politicizza nel corso del secolo XVIII nelle fasi che precedono la Rivoluzione Americana e la Rivoluzione francese. La "Costituzione" viene invocata come sanzione scritta del patto costituente che erige la "Nazione", e quale quadro della proclamazione degli imprescrittibili diritti (e doveri) dell'uomo e del cittadino». Avverto due sentimenti contrastanti rispetto alle ambizioni di Conte. Il primo, a caldo, è «giù le mani dalla Costituzione». Senza tornare, perché sepolta dal voto negativo dei cittadini, alla famosa e in molte parti strampalata "riforma Renzi-Boschi", basta e avanza in epoca recentissima la legge costituzionale scritta male - e Conte c'era... - sulla riduzione dei parlamentari, frutto di imperizia e del chiodo fisso dei costi della politica dei "pentastellati" in salsa anti-parlamentare. Il secondo, più ragionato, osserva come in effetti non dovrebbero esserci dei tabù nel cambiare aspetti ormai desueti di tutta la Costituzione italiana in vigore, compresa quella prima parte che qualcuno considera intangibile, ma che in realtà fotografa il mondo di settant'anni fa e non registra cambiamenti epocali nel frattempo intervenuti. La questione si può esattamente traslare sullo Statuto di Autonomia valdostano, figlio della stessa Costituente e di una Valle d'Aosta del 1948, assai cambiata nel frattempo. Sarà pure che con le "norme di attuazione", se venissero approvate in tempi utili e non si impantanassero a Palazzo Chigi come in un porto delle nebbie, molto potrebbe farsi per mantenere dinamica la nostra Costituzione regionale. E' vero però che ogni volta che si è affrontato il tema di una attualizzazione dello Statuto si sono aperti - per chi ne abbia studiato davvero le possibilità - vasti margini di miglioramento. Ma - tornando a Roma - la questione è sempre la stessa: si ritiene che ci siano oggi spazi politici di una larga intesa nutrita dal necessario clima costituente? Questa volontà di assembrare mi pare non esista neanche in cartolina e mancano pure personalità eminenti che ne possano essere interpreti. I sistemi elettorali in vigore per il Parlamento premiano i fedelissimi nominati dai partiti e non scelti realmente dagli elettori e questo ha abbassato la qualità. Basta scorrere alcuni curricula dei membri del nuovo Governo per farsene una ragione. Nel caso valdostano poi - anche se io ci lavorerei lo stesso come iniziai a fare, anni fa, coordinando una sorta di "Costituante" di persone di buona volontà che voleva essere di stimolo al Consiglio Valle - esiste il nodo da una parte dell'assenza del medesimo spirito innovatore generale e di competenze necessarie in campo, ma anche l'annoso e purtroppo irrisolto tema del passaggio parlamentare di uno Statuto proposto dai valdostani in ossequio alla procedura di cui all'articolo 138 della Costituzione ed il debole ruolo regionale assegnato dall'articolo 50 dello Statuto. E' proprio in assenza di un meccanismo serio d'intesa (e modelli ce ne sono, come la procedura di conciliazione fra Parlamento europeo, Commissione e Consiglio sulle normative comunitarie) il rischio è che la proposta valdostano esca dal Parlamento italiano del tutto stravolto. Capitò anche negli anni del post Liberazione, quando le proposte del Consiglio Valle di un federalismo alla valdostana si infransero nelle decisione assunte dai costituenti. Resta il problema della volontà costituente che prevede almeno due riflessioni. La prima è crederci e ciò vale per Roma come per Aosta: «La Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La Costituzione è un pezzo di carta, la lascio cadere e non si muove. Perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile. Bisogna metterci dentro l'impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità». Così scriveva il grande giurista Piero Calamandrei e sono osservazioni che tracciano la via e stracciano scelte strumentali che vogliono volgere a vantaggio di qualcuno un patrimonio che deve rimanere collettivo e come tale ampliamento condiviso. Certo anche stare fermi finisce per essere una scelta, ma quando ci si muove questo percorso va definito con un disegno chiaro, scopi da raggiungere e con scelte mai compiute a soli colpi di maggioranza.