Capita al mattino, sfogliando "Twitter" (si potrà dire "sfogliando", riferendosi allo schermo di un telefonino?), di leggere pensieri fulminei del critico letterario francese Bernard Pivot. L'ultimo è esemplare: «Je propose de faire entrer le mot "brexit" (sans majuscule) dans la langue française. Il désignera un débat cacophonique et insoluble, une réunion foutoir, une assemblée bordélique. Ex: l'assemblée des copropriétaires s'est achevée en brexit». Le parole nascono e muoiono e spesso sfondano diventando in poco tempo parte del nostro linguaggio comune ed è singolare seguirne il percorso. Nel caso di "Brexit" trovo che conti molto il tempo da cui si trova irrisolta e ingarbugliata la vicenda politica, che come una maledizione affligge ormai la politica inglese con risvolti costituzionali mica da ridere ed un oscillare ormai fra dramma e farsa. Tipico esempio di quando vicende politiche sfuggono di mano e si allontanano le soluzioni e all'origine, come un questo caso, c'e stata la scelta avventata degli elettori nel chiedere di lasciare l'Unione europea.
Su "Treccani", in un articolo molto approfondito, Licia Corbolante racconta: «Quando si è saputo che era scoppiata "Brangelina", la coppia più nota di Hollywood, i "social media" si sono scatenati. Per alcuni giorni il divorzio di Angelina Jolie da Brad Pitt è stato tra i temi più commentati e anche in Italia sono diventati di tendenza gli hashtag #Brangelexit, #Bradexit e #Brexpitt. Non occorre sapere l'inglese per riconoscere subito il riferimento a "Brexit", da molti già incoronata parola dell'anno 2016 e il cui successo globale è dovuto in parte proprio alle nuove modalità di comunicazione "social"». Attirata l'attenzione con grande perizia l'autrice torna indietro: «L'anglicismo "Brexit", come è noto, indica la (potenziale) uscita del Regno Unito dall'Unione europea, scelta dai cittadini britannici con il referendum del 23 giugno 2016. La parola è in uso in inglese dal 2012, inizialmente nella forma alternativa "Brixit". E' stata formata dalla fusione di "British" + "exit" sul modello di "Grexit" ("Greek" o "Greece"+ "exit"), che però descriveva la possibile uscita della Grecia non dall'Ue ma dall'eurozona. Nell'inglese britannico "Brexit" si comporta come un nome proprio, usato senza articolo. In italiano invece è "la Brexit", di genere femminile come la parola uscita, ed è preceduta dall'articolo, come i nomi propri di eventi. Sta invece scomparendo la forma maschile "il Brexit", a suo tempo influenzata dal genere maschile di referendum in italiano, dalla pronuncia, e dalla tendenza prevalente di assegnare il maschile ai forestierismi». Poi la spiegazione del successo: «"Brexit" presenta tutte le caratteristiche delle parole che vengono assimilate spontaneamente perché efficaci e durature. E' rappresentativa perché denomina un evento nuovo che sarà rilevante a lungo. E' breve e facile da memorizzare e pronunciare perché composta da una sequenza di fonemi ricorrenti in inglese e comuni ad altre lingue. E' trasparente, e non solo in inglese: il segmento "exit" è riconoscibile dalla segnaletica internazionale e riconducibile a una radice latina comune. Può essere usata in contesti e registri diversi, si è distinta per l'alta frequenza d'uso e si è dimostrata anche molto produttiva: ha dato origine al verbo "brexit", ad altri sostantivi come "brexiter" e "brexiteer" (i sostenitori e i paladini della "Brexit"), a vari altri neologismi ed a innumerevoli occasionalismi». L'uso si è perciò diffuso come un virus: «Sul modello di "Brexit" (e prima ancora di "Grexit") sono nate subito altre combinazioni con nomi di paesi, come "Scoxit", "Spexit", "Irexit", "Swexit", "Italexit" o "Itexit", "Frexit", "Nexit": indicano ipotetiche uscite di Scozia, Spagna, Irlanda, Svezia, Italia, Francia e Paesi Bassi. In tedesco hanno ispirato "Dexit" e "Oexit - Öxit", da Deutschland ed Oesterreich. Subito dopo il referendum sono proliferati nuovi tipi di formazioni, con nuove associazioni semantiche, come "regrexit", il rammarico ("regret") per il risultato del voto, "apocalexit" e "wrexit" in previsione di conseguenze apocalittiche o disastrose (da "wreck", mandare in rovina, distruggere), e "ProgrExit", un'eventuale uscita graduale ("progressive") del Regno Unito dall'Ue. Tra le combinazioni con nomi propri di persona si rilevano "Boxit" e "Faragexit", le inaspettate dimissioni dei leader della campagna pro-Brexit, Boris Johnson e Nigel Farage, mentre "Jexit" auspicava le dimissioni del leader laburista Jeremy Corbyn. Hanno avuto vita breve perché legate a eventi specifici e non duraturi, ma hanno confermato la grande flessibilità di composizione e sono state un modello anche per altre lingue, come "Merkelexit" in Germania e "Renzexit" o "Renxit" in Italia in conseguenza di eventuali risultati elettorali sfavorevoli». Infine - annotato che intanto Boris Johnson è diventato Primo Ministro, sfidando con insuccesso il Parlamento nel nome di una "Brexit" senza accordo con l'Europa - leggo ancora due interessanti annotazioni linguistiche: «In italiano il neologismo "Brexit" è identificato come "parola macedonia", termine coniato da Bruno Migliorini per le formazioni che risultano "da una o più parole maciullate" unite ad una seconda parola che invece rimane intatta, come appunto "Br[itish]" + "exit" o "cantautore". (...) Negli ultimi anni le "parole macedonia" sono diventate uno dei meccanismi di formazione di neologismi più produttivi e sfruttati della lingua inglese. Non sono più prerogativa di ambiti pubblicitari, commerciali e tecnici, e il loro uso non è più ristretto a contesti informali. C'è chi le ritiene un prodotto tipico della società contemporanea, autoreferenziale, amante della commistione di generi e sempre alla ricerca di novità, anche lessicali [Kelly]. I "social media", su cui avviene ormai buona parte della comunicazione, favoriscono l'uso ludico della lingua e spingono alla ricerca delle parole più efficaci e divertenti per l'hashtag perfetto, breve e memorabile, che viene condiviso, coinvolge e dà l'illusione di essere parte degli eventi anche globali. E' inevitabile che questa funzione sia affidata alle "parole macedonia" dell'inglese, che non solo è la lingua franca del XXI secolo ma è anche dominante nell'informazione e nell'intrattenimento. "Brexit" è un esempio particolarmente riuscito». Chissà che cosa potrebbe essere una "VdAexit" riferita alla Valle d'Aosta. Una potrebbe essere la speranza di un'indipendenza valdostana, tenendo conto della taglia di piccoli Stati o nell'Unione europea (Lussemburgo) o nel resto d'Europa (Andorra, San Marino, Liechtenstein, Monaco), ma il tema ha una complessità costituzionale ed il "caso catalano" ha mostrato il volto feroce della Spagna e nel caso italiano sono vigenti inquietanti norme penali in spregio a qualunque principio di autodeterminazione, sapendo che la chiave federalista in Italia è da sempre e resta purtroppo ancora l'incompiuta. L'altra speranza, dal respiro più breve ma attuale, sarebbe la "brexit" rossonera per venir fuori dallo sparpagliamento del mondo autonomista, tipo uscita di sicurezza contro un clima per nulla allegro per le specialità. Ma sul punto dell'uscita dallo sparpagliamento in corso da tempo ci sono tante, forse troppe idee e le strade appaiono al momento divergenti e in più - ma sarà una mia malizia - convince poco chi nel convergere sceglie il "molto fumo e poco arrosto".