Capitano tutti i giorni avvenimenti che si trasformano in notizie e oggi, se si decidesse di seguirne il flusso in continuo e da dovunque, ci sarebbe veramente da uscirne pazzi. E va detto che il rischio di passare all'iper-connessione alla patologia è abbastanza breve e sfocia appunto nella "nomofobia", che designa la paura incontrollata di rimanere sconnessi dalla rete di telefonia mobile. Il termine - neologismo che segna quest'epoca digitale - è formato dal suffisso "-fobia" e da un prefisso inglese "nomo", abbreviazione di "no-mobile". Fatta salva l'esistenza di una connessione, si potrebbe fare una maratona quotidiana con il bombardamento di fatti, storie, personaggi che possono penetrare nella nostra vita. La mancanza di filtri, cui si aggiunge l'inevitabile dubbio in molte occasioni che certe notizie celino "fake news" maliziose o notizie non verificate alla fonte.
Ecco perché sono salutari due cose: la prima è che la notizia venga "scavata" e trattata da chi è del mestiere e la crisi profonda del giornalismo professionale non aiuta affinché ciò avvenga con garanzia anzitutto per il lettore. La seconda è che è necessario che ogni notizia possa - nella logica del buon giornalismo che obbliga a non impastare la notizia nuda e cruda dal proprio commento per non fare pasticci - essere capita grazie a chi se ne intende per evitare giudizi sommari. Faccio qualche esempio. Ho apprezzato molto chi, rispetto a certo stupore sulla sortita di Matteo Renzi con il suo nuovo partito "Italia Viva", ha ricostruito con pazienza le tappe precedenti, dimostrando che chi finge stupore è in malafede. Renzi non ha fatto una "renzata", come detto da lui stesso, ma ha perseguito a tavolino un percorso, anche se ben sia sa - e Renzi più di tutti per certi alti e bassi - che in politica certe svolte possono avvenire d'improvviso. Ma non penso che sia il caso. Passo di palo n frasca. "Coca-Cola" compra "Lurisia", acqua e bibite che orbitavano attorno ad "Eataly". Il mondo si divide fra chi plaude alla multinazionale finalmente buona che decide di investire in prodotti locali che valorizzino la qualità. Non ci crede "Slow Food", che con Oscar Farinetti aveva da anni rapporti nel solco della valorizzazione di tipicità, tutela del territorio e degli agricoltori. E Farinetti dice dei manager "Coca-Cola": «Sanno di avere una grande responsabilità sociale nei confronti dell'ambiente e del pianeta e si muovono di conseguenza». Davvero non posso crederci ed amo i commenti di chi dice con semplicità: c'era bisogno di fare cassa e questi sono gli acquirenti. Salto sulla prossima liana. Titoloni sul fatto che dopo quarant'anni le donne iraniane possono entrare negli stadi di calcio per seguire partite internazionali. A parte il fatto che l'Iran infuoca ed insanguina tutta la sua area geopolitica e dunque esistono problemi maggiori, basta leggere un rapporto qualunque - che so, di "Amnesty International" - per vedere quale sequela di umiliazioni subiscano le donne iraniane ed in larga parte del mondo islamico (non parliamo degli islamisti...) e dunque questa cosa del calcio andrebbe presa con beneficio di inventario, come la notizia farsesca delle donne che finalmente possono guidare l'auto in Arabia Saudita... Sulla linea del paradosso è la vicenda del premier canadese Justin Trudeau che rischia di perdere le elezioni perché tanti anni fa, quando non aveva responsabilità pubbliche, si era vestito in una serata tipo "Mille e una notte" con il volto tinto di scuro simil sceicco o forse eunuco. Una mascherata ovviamente di cui ha dovuto dar conto per spiegare, scusandosi, che non esisteva nessun intento razzista o xenofobo. Capisco se si fosse travestito nel suo ruolo politico, ma che uno debba rispondere di una serata scherzosa quando si era un "Signor Nessuno" rappresenta bene l'aria dei tempi. Vengono in mente certe storie del movimento "Me Too", che combatte nobilmente contro molestie e violenze sessuale, ma ci sono persone che denunciano dopo decenni dai fatti molto gravi e non si capisce spesso perché non lo abbiano fatto prima. Vale, nello stesso filone, la costernazione per una pessima intervista di Bruno Vespa ad una donna vittima di violenze coniugali. Basta pensare a come venne da lui trattato il "caso Cogne", con la celebre riproduzione della villetta di Montroz per meglio spiegare la scenda del delitto. Per capire, esiste uno stile dell'illustre giornalista, che dovrebbe portare alla semplice considerazione che chi accetta di andare da lui o concorda bene le cose, oppure si lamenta subito delle domande o impedisce la messa in onda del prodotto. Per cui il coro greco di lamentazioni stupisce perché c'è chi si stupisce… Aggiungo ancora questa ennesima storia di un neonato morto di caldo nell'auto parcheggiata sotto l'ufficio dal padre, dimenticatosi di portarlo all'asilo nido. Si è scoperto purtroppo che la legge del 2018 che perdeva un sistema di allerta che evitasse simili tragedie è ferma per problemi sui decreti attuativi. Classico caso in cui andrebbero anzitutto cercate le responsabilità di chi ha scritto la legge e non solo dei successivi passaggi che ne hanno bloccato l'efficacia. Ci saranno nomi e cognomi di chi deve avere sbagliato sin dalla scrittura delle norme. Un ultimo caso: la moto d'acqua della sfortunata, benché rutilante, estate di Matteo Salvini. Ci sta che il poliziotto che ha minacciato il giornalista film-maker paghi un atteggiamento intollerabile verso la libertà d'informazione. Ma che un poliziotto abbia fatto fare un giro sulla moto d'acqua al figlio del proprio Ministro di riferimento può valere, se si vuole, una ramanzina del Questore, ma immaginare provvedimenti penali fa veramente ridere i polli. Credo che siano altre le strade del confronto politico, perché si rischi a altrimenti di vedere il dito e mai la luna.