Non sempre, leggendo il "Corriere della Sera", sono d'accordo con le opinioni di Ernesto Galli della Loggia, uno dei politologi più acuti sulla scena italiana, che, con franchezza, mi era finito in fondo ai piedi, quando ammise - pur con pentimento - di avere votato alle Comunali di Roma la candidata grillina, Virginia Raggi. E' normale che, leggendo gli editoriali dei giornali, non sempre si sia in linea, ma - finita l'utilità di una rapidità dei quotidiani nel dare notizia ormai morta e sepolta - quel che arricchisce di più sta proprio nei commenti che servono a dare punti di vista originali sui temi d'attualità e sono utili per crearsi una propria opinione e per fare, per arrivarci, una salutare ginnastica mentale.
Galli della Loggia torna su un tema che mi sta molto a cuore ed andrebbe invitato per assistere in Valle d'Aosta non allo straordinario spettacolo dei nostri panorami alpini, ma per ammirare esempi pregiati di trasformismo politico autoctono. Se si mettessero su di un grafico gli spostamenti di alcuni apparirebbero mirabili ghirigori. Leggiamo: «La prima cosa da chiarire è che trasformismo non significa affatto cambiare opinione su questa o quella questione. Non vuol dire cambiare idea. Ci mancherebbe altro. Il mondo, le situazioni, i protagonisti cambiano a velocità vertiginosa: sarebbe assurdo che invece deputati e senatori dovessero conservare sempre la medesima opinione di cinque, dieci, o anche un anno prima. Le cose stanno però ben diversamente quando si tratta del mutamento della propria identità politica e non già di un semplice mutamento di idee su una determinata questione, sia pure importante». L'incipit dimostra appunto come non si debba equivocare e poi si prosegue: «In un regime democratico l'identità politica sia dei singoli che dei partiti è data sì dalle loro rispettive opinioni su alcuni problemi chiave (opinioni che tuttavia, come ho detto, con il tempo possono benissimo attenuarsi, essere lasciate cadere, mutare in parte o del tutto) ma assai di più è data da un fattore diverso: dagli amici e dai nemici che si hanno o che si decide di avere. E' per questo che in politica i programmi valgono quello che valgono (generalmente poco), e invece conta moltissimo con e in special modo contro chi si pensa di attuarli. Non per nulla, specie da quando esiste il suffragio universale, un governo non si caratterizza tanto per le cose che si propone di fare (che spesso almeno negli obiettivi non differiscono molto da uno schieramento all'altro) quanto per la sua composizione - cioè per le forze che si mettono insieme per farle - e al tempo stesso per quelle escluse, le quali vengono così a trovarsi all'opposizione. Dunque è l'identità degli amici e dei nemici, il carattere più o meno repentino con cui cambia il giudizio su chi siano gli uni e chi gli altri, e quindi il mutamento degli amici in nemici e viceversa: sono questi elementi la vera cartina al tornasole del trasformismo dei singoli e dei partiti». Ma manca ancora un tassello per spiare il fenomeno: «In tema di trasformismo una spia decisiva è quella dei tempi e dei modi. (...) Ci possono essere buone, buonissime, ragioni non solo per cambiare idea su questa o quella faccenda ma anche per decidere di cambiare la propria identità politica. Possono esserci. Ma non possono essere ragioni subitanee che spuntano un bel giorno dal nulla. Se viceversa tali ragioni maturano da tempo, allora però esse non possono essere tenute nascoste per più di tanto. Non si può ad esempio (ma è un esempio preso da fatti realmente accaduti: il lettore sa quali) continuare ad apparire all'esterno come un avversario della sinistra, non si può aver costruito su tale base la propria identità politica, stare addirittura in un governo che si contrappone alla sinistra, e nel proprio intimo, senza darlo in alcun modo a vedere, essere pronti di punto in bianco a diventare alleati della sinistra stessa. Il nicodemismo ha diritto di cittadinanza tra i sudditi delle dittature, non nei parlamenti delle democrazie». Il "nicodenismo" - chiarisco - è il conformarsi esternamente alle idee dominanti, nascondendo le proprie. Ancora Galli della Loggia: «Questo non è moralismo, è l'ovvia necessità che il pubblico sappia chi ognuno è, e che pensa. Così come non è moralismo pensare che chi in politica cambia idea o identità sia naturalmente liberissimo di farlo ma, se davvero vuole evitare di essere accusato di trasformismo, si senta tenuto almeno a una cosa: ad ammettere pubblicamente di aver cambiato idea o identità. E magari a spiegare anche per quale ragione». Questo al momento resta la grande sfida dell'area autonomista e dei rapporti al suo interno. Non per fare processi postumi o dedicarsi a ricostruzioni storiche, ma perché la lealtà necessaria per il futuro parte da una corretta analisi delle ragioni della diaspora passata. Senza troppo indugiarci e guardando avanti, ma l'operazione di "resettaggio" prevede la certezza di non ricascare in certe giravolte, piroette, capriole...