Per capire, al di là di ogni retorica, quanto certi italiani fossero una vergogna nel mondo ci avevano già pensato i film della saga de "Il Padrino" o serie come "I Soprano", che mostravano come certa retorica sull'emigrazione italiana abbisognerebbe di qualche distinguo. Ma erano prodotti "Made in USA", cui sono seguite produzioni o coproduzioni anche italiane. Avevo già raccontato in passato del mio stupore misto a dolore, seguendo in televisione - con l'aiuto della sottotitolazione perché il dialetto campano adoperato in larga parte mi è impossibile capirlo – le diverse serie di "Gomorra". Un lavoro, nato da un'idea di Roberto Saviano, e liberamente tratto dal suo omonimo bestseller che da Napoli mostra personaggi che si muovono globalmente in altre località legate alla camorra, tipo la Spagna, la Germania, l'Honduras e la Bulgaria. Questi tizi si destreggiano come poliglotti nelle lingue di quei Paesi, quando non sanno farlo neanche in italiano.
Mi sono sempre chiesto, essendo la fiction televisiva italiana venduta praticamente in tutto il mondo, quale immagine si comunichi dell'Italia e della criminalità organizzata che, come un piovra (ricordate "La Piovra", antesignana in qualche modo?), avvolge non solo più il Sud, ma anche il resto d'Italia, Valle d'Aosta compresa con la sua dose di 'ndrangheta, di cui potremmo davvero fare a meno. Piano piano mi auguro sveleremo perché politica sporca e bieco affarismo hanno agevolato, accanto a chi emigrato onestamente dalla Calabria, l'arrivo invece dei "cattivi", che hanno infangato la nostra onorabilità, aiutati da complici locali che vanno per questo considerati traditori. Dicevo di "Gomorra", che è talmente repulsivo, nelle storie di orrore e di volgarità da essere seguito con grande attenzione, perché anche le cose brutte - lo vediamo dalla cronaca nera - attraggono per misteriose ragioni dell'animo umano. Oltretutto con la constatazione di persone che girano senza freni e senza controlli, come se Magistratura e Forze dell'ordine fossero belle statuine che non presidiano il territorio e non sanno che pesci prendere per bloccare traffici illeciti. Devo dire, però, che questa constatazione triste di un mondo sotterraneo di delinquenza organizzata, fatta di personalità analfabete ma voraci, si è sempre accompagnato ad un senso di impotenza che ti fa chiedere se - alla fine - questa "Gomorra" non sia uno spot per criminali. Avevo letto di giovani del napoletano che nei bar, davanti al televisore, tifavano per quei gaglioffi che a me, sul divano di casa, suscitavano odio e ribrezzo. Per farmi male, avendo vissuto quegli anni da deputato alla Camera, seguendo con orrore uccisioni come quella dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, ho guardato in televisione "Il Traditore", un film sul boss pentito di mafia Tommaso Buscetta con la regia di Marco Bellocchio. Tutto ruota intorno a Buscetta, a quel periodo cruciale a partire dell'inizio anni '80, quando alla mafia "antica" si oppongono i corleonesi di Totò Riina, e lui - il pentito per eccellenza - sceglie di parlare a Giovanni Falcone e poi di testimoniare al maxi processo a Palermo. «E' un uomo che rischia, non vuole essere ucciso nella guerra di mafia, difende la sua vita, i suoi figli, per gli altri è un traditore, per lui stesso è un conservatore dei "valori" mafiosi. Se c'è una fascinazione non è certo per farne un eroe, su questo non penso ci siano equivoci», si è difeso Bellocchio sull'inevitabile osservazione sul "fascino" dei malvagi. Incredibile la recitazione di Pierfrancesco Favino, che si è trasformato con impressionante capacità - compreso il dialetto palermitano, sempre da sottotitolare - in Buscetta, un boss che amava godersi la vita, vanitoso, carismatico. «Una grande personalità, secondo ogni documentazione fatta prima delle riprese», racconta Favino in una intervista, aggiungendo: «Non è stato solo cercare di assomigliargli, ma di avere la sua stessa energia. Del resto la leggenda lo rincorre, si è costruito una memoria di sé stesso dai libri alle interviste televisive, dimostrando di essere anche un fine stratega della comunicazione. E io nell'interpretarlo mi sono sempre domandato a cosa credere e a cosa non credere di quello che via via sapevo di lui. Al romanticismo, all'amore per la famiglia, all'idealismo? Sono anche i miei valori, ma certo non si è boss per niente e lui non era un figlio della mafia, ma ha scelto a 17 anni di entrarci sapendo che era la scelta per tutta la vita, dunque rendere questo lato è stato la mia vera sfida». Ora, con un certo masochismo, seguo la serie "ZeroZeroZero" su "Sky", con immagini di inaudita violenza e che di sicuro sul mercato internazionale avrà successo e confermerà l'immagine agghiacciante di un'Italia nelle mani della criminalità organizzata. La serie segue il viaggio di un carico di cocaina, dal momento in cui un potente clan della 'ndrangheta decide di acquistarlo, fino a quando viene consegnato e pagato. In mezzo ci stanno persone mangiate dai maiali, torturate e scannate, poliziotti corrotti e matti da legare per la loro violenza inaudita. "Sky" dice "attraverso le storie dei suoi personaggi, "ZeroZeroZero" getta luce sui meccanismi con cui l'economia illegale diventa parte dell'economia legale e come entrambe siano collegate a una spietata logica di potere e controllo, che influenza le vite e le relazioni delle persone in tutto il mondo". Tutto giusto, nessuna omissione e censura, ma anche in questo caso abbiamo delinquenti che spadroneggiano e si esibiscono e il Male sembra implacabilmente vincente. Biglietto da visita lercio.