Il quadro resta pieno di incertezze. In parte è comprensibile ed in parte no. Il Turismo, attività capitale per la Valle d'Aosta e per gran parte delle Alpi, aspetta chiarezza, mentre molte evidenze arriveranno con il contagocce e forse per la prossima stagione si tratterà di improvvisare in breve tempo, secondo le circostanze fauste o infauste che arriveranno. Una duttilità mentale ed un'operatività incisiva per nulla facile che deve contare sulla forza dell'imprenditoria e sull'appoggio incondizionato del pubblico. Più si lavora e più gira il tassametro del riparto fiscale per evitare una Valle d'Aosta che rischia di fare i conti con un crollo delle proprie entrate. Devo dire, osservando lo scenario, che mi pare che sarebbe stato bene avere idee "a geometria variabile", a seconda di che cosa si potrà fare. La cautela non ha nulla a che fare con l'incapacità e soprattutto con una necessaria ma mancante visione d'insieme di un comparto turistico che finisce, in modo onnicomprensivo, per investire larga parte dell'economia e della società della Valle.
Mancano, invece, exit strategy e capacità reattiva e sono nulli anche i legami con il resto delle Alpi per capire come le altre zone, al di qua e al di là, si stanno organizzando. Bisogna sempre avere originalità di approccio, perché ogni territorio ha sue peculiarità, assieme alla capacità di ricopiare le buone pratiche. Inoltre, al di là delle legittime logiche di concorrenza dovrebbero esserci solidarietà e impegni congiunti per dire alto e forte quanto sia decisiva questa "fase 2" per l'avvenire dell'arco alpino nella sua varietà. Sappiamo come esistano vallate floride e zone depresse, città alpine e villaggi abbandonati, posti che mantengono un buon tasso demografico e località con età media elevatissime. Esiste spazio per tutti, se ci si crede e se le aree metropolitane cadranno in una crisi profonda e le prospettive di smart working potrebbero sdrammatizzare l'urbanesimo e le sue storture. Sono molti coloro che, anche in logiche nazionali di un Turismo che sembra destinato nel breve a restare domestico, possono - con l'informazione e la comunicazione giuste - essere indotti a scegliere la montagna. Perché le Alpi possono garantire spazi vasti, che evitano assembramenti e godono di un ambiente salubre e piacevole, con offerte varie in linea con le prescrizioni di sicurezza. Sappiamo bene come la stagione estiva abbia cambiato pelle nel tempo, dall'antica villeggiatura in poi. Da anni persiste una crisi di identità che ha creato viva preoccupazione in moltissime località. Ma oggi gli obblighi di salubrità e la salute al centro dei nostri pensieri, oltreché una cultura ambientale crescente, sono filoni da sfruttare, che possono garantire un'attrattività altrimenti difficile da costruire rispetto a convinzioni, mode e stili di vita, così come si erano incrostate. Bisogna crederci e potrebbe essere un momento di svolta, che nasca da una situazione allarmante e distruttiva, che pone l'economia turistica sull'orlo del precipizio e solo reazioni lucide possono contrastare le sfortunate e luttuose circostanze apparse dall'oggi al domani e non ancora sradicate. Navigare a vista può essere un accidente, ma non lo è se si intende comprendere che cosa estrarre dal cesto delle molte esperienze vissute dal dopoguerra ad oggi, quando il boom economico coincise con un turismo di massa, ben diverso dalle radici settecentesche e ottocentesche - alpinismo, termalismo, cura delle malattie - che hanno consentito l'ascesa del turismo estivo e poi l'esplosione, con lo sci, di quello invernale. Nient'altro che una sfida.