Sarebbe brutale scrivere che esiste nel Governo Conte un'incomprensione verso i problemi del nostro profondo Nord? Direi di no e questa è una semplice constatazione di una compagine governativa che vede in ruoli apicali una ridottissima presenza di esponenti "nordisti". Non è un giudizio di valore - sarei ridicolo a farlo - per chi come me si sente cittadino del mondo, e mai ha valutato le persone per le proprie origini ed è privo di pregiudizi, ma una giusta rappresentanza territoriale è importante in una Repubblica unitaria ma nella diversità. Se fossimo un Paese federale questa logica di ripartizione sarebbe un principio sacrosanto e invece lo squilibrio attuale è palpabile e potrei raggiungere - a rafforzamento - un mondo della montagna sempre più negletto anche in Parlamento.
Così come mai sarebbe avvenuto che un premier passasse senza colpo ferire - e del tutto privo di memoria con straordinaria vaghezza - da un'alleanza fra Lega e "Cinque Stelle" a Partito Democratico e Cinque Stelle con una nonchalance da "Premio Oscar". So che Giuseppe Conte ha fra i miei lettori qualche fan, ma questo non mi fa cambiare opinione per nulla. Non solo «Giuseppi» manca dello spessore necessario per guidare l'Italia, ma fa rimpiangere il da me criticatissimo Silvio Berlusconi, che aveva altre capacità e mai avuto modalità cesaristiche come ha fatto il principe dei "Dpcm" notturni. Conte - ultimo esempio - mentre le Regioni alpine lavoravano su come aprire, se possibile, i comprensori sciistici per Natale ha annunciato in televisione, da Lilli Gruber, che è pure sudtirolese, che mai avrebbe aperto al turismo invernale. Lo ha detto guardando sulla scrivania misteriosi appunti in cui figuravano "impianti di risalita", che immagino per lui siano il male, mentre sulle spiagge ferragostane e sulla "movida" da lungomare era rimasto quest'estate zitto zitto per affinità culturale e per non disturbare il core business del suo elettorato prossimo venturo. Aveva detto che l'esperienza a Palazzo Chigi sarebbe stata per lui «un unicum», ma ormai non ci crede più nessuno ed è evidente, con buona pace del PD che gli regge la coda, che mira ormai alla leadership dei pentastellati. Vien voglia di prendere a prestito le parole utilizzate da Winston Churchill per liquidare un avversario politico dei suoi tempi: «Davanti al numero 10 di Downing Street si è fermata una macchina e non è sceso nessuno. Era Attlee». Idem per Conte, che è salito a Palazzo Chigi con la complicità della Lega di Matteo Salvini, che dovrebbe fare su questo un esame di coscienza. Aggiungo un elemento, perché so bene come vanno le cose: «come fai a criticare il Governo Conte e far parte di un Governo autonomista che ha nella Sinistra che regge proprio Conte un proprio alleato?». Potrei scomodare i famosi «niveaux différents», invece segnalo come il PD sbagli a Roma a reggere il moccolo a Conte. Lo scrivo con chiarezza, leale nel mio ruolo nell'Esecutivo valdostano e speranzoso che alcuni dossier fermi nei rapporti con il Governo centrale prendano la giusta velocità. Con una chiarezza di fondo: l'Autonomia è un valore comune non negoziabile e lo è a maggior ragione per chi è autonomista per background e vita politica vissuta. Questa impostazione influenza tutto il resto, perché è una conditio sine qua non, cioè una condizione indispensabile per ogni ragionamento ed azione per non tradire i propri ideali.