Quante volte ho invitato i valdostani a non cadere mai nel rischio di un micronazionalismo giacobino, che nulla avrebbe a che fare con il nazionalismo buono, che è fatto da una considerazione di sé che non dev'essere per nulla aggressiva verso gli altri e neppure piangere verso un eccesso di autovalutazione retorica e tronfia. Per questo affermo sempre di sentirmi un "cittadino del mondo" e di considerare essenziale conoscere altre culture come elemento utile di apprendimento e di confronto. Chi si chiude a riccio perde occasioni di crescita e pure su critica e finisce per inaridirsi. Pensavo oggi, però, di come questo presupponga uno sforzo di comprensione per i valdostani di origine e di adozione (forma forse stucchevole ma alla fine rappresentativa di due tipologie) delle caratteristiche del nostro piccolo mondo. Certo, per conoscerlo ma anche per essere consapevoli del patrimonio nel senso più largo possibile che abbiamo ereditato.
Mi capita - ancora qualche giorno fa - di andare in Valle in posti dove non sono mai andato per elementi di evidente casualità. E' stato il caso delle cascate di La Thuile, che avevo visto una volta dall'elicottero e ci ero passato vicino con gli sci ai piedi. Si tratta di un angolo incantevole, dove si evidenzia la forza della natura in un luogo selvaggio e affascinante. Questa sensazione di scoperta mi è capitata molte volte, a dispetto della relativa piccolezza del territorio valdostano, che consente nella particolarità della sua estensione in altitudine di trovare, dal fondovalle sino alle cime più alte, biotipi differenti e anche variazioni sul tema della nostra "civilisation valdôtaine", variante originale della "civilisation alpine". Sarà pur vero che molti aspetti dovrebbero essere trattati bene e nei vari gradi di scuola e ancora oggi non sempre questo avviene con la necessaria completezza, ma ho sempre pensato che spetti anche alle famiglie ed ai singoli sviluppare questo senso di conoscenza e di appartenenza, che è davvero qualche cosa di prepolitico. Invece mi accorgo che sono troppi coloro che, alla fine, vengono presi da uno specie di paradossale straniamento. Vivono in Valle ma non ne conoscono, persino in termini poco più che elementari, le caratteristiche e le bellezze. Non è un invito ingenuo ad una sorta di turismo autarchico o di istruzione sottoposta a chissà quale indottrinamento. Si tratta invece della semplice necessità di capire a fondo dove si vive e che cosa prima di noi sia stato fatto nella accumulazione culturale di un popolamento antico che si è sviluppato ed è cambiato nel tempo e di cui ognuno di noi, ciascuno con le proprie origini e peculiarità, è il prodotto. Mi piace quanto ha scritto Raffaele La Capria: «Un'identità forte è una finestra sul mondo, capace di includere in sé anche le altre. Se è debole, invece, si limita a glorificare se stessa, rinchiudendosi nei confini del localismo». C'è una bella canzone di Giorgio Gaber che ogni tanto mi torna in mente e che può cementare un territorio e la sua comunità: «L'appartenenza non è lo sforzo di un civile stare insieme non è il conforto di un normale voler bene l'appartenenza è avere gli altri dentro di sé. L'appartenenza non è un insieme casuale di persone non è il consenso a un'apparente aggregazione l'appartenenza è avere gli altri dentro di sé».