Prendi la "Treccani" e leggi «bla bla (o bla-bla, o blablà; più raramente bla bla bla): Espressione onomatopeica, di uso internazionale, per indicare un discorso o un chiacchiericcio vano, futile, senza costrutto». Ha fatto notizia l'intervento di Greta Thunberg del 28 settembre a Milano a "Youth4Climate" in cui ha criticato le parole vuote e inutili dei leader mondiali sul clima. Parlando in inglese, ha usato ripetutamente e con grande effetto le parole «blah blah blah», ed è un esempio - come spiegano i linguisti - di reduplicazione espressiva. Definizione con cui - ecco la spiegazione - si intende un fenomeno morfologico e sintattico che consiste nella ripetizione di un'unità lessicale; è usata soprattutto per intensificare a scopo espressivo. L'espressione è immediatamente riconoscibile anche perché è un internazionalismo, vale a dire un prestito adottato contemporaneamente in più lingue con minime variazioni ortografiche, che non cambiano la sua sostanza.
In italiano la prima attestazione di "bla bla" o "blablà" risale al 1964 per il Vocabolario "Devoto-Oli", che la fa derivare da blaterare, verbo di origine onomatopeica. Per altri dizionari, anche di altre lingue, l'origine invece è "direttamente" onomatopeica, imitativa di parole noiose, senza molto senso e/o che si dilungano troppo. E' probabile che l'espressione sia entrata nelle diverse lingue europee dall'inglese americano, in cui è in uso dall'inizio del XX secolo, e si sia diffusa grazie ai fumetti, dove è molto frequente come ideofono (parola con la quale si esprimono le sensazioni relative alle varie sfere sensoriali), che in questo caso rappresenta appunto il blaterare. Trovo un articolo su di un vecchio numero di "Rolling Stone" con un titolo che riassume la sua storia: «Come una ragazzina svedese armata di un cartello di cartone ha dichiarato una Crociata ed è diventata la leader del movimento ambientalista globale». Poi si legge nel testo: «Greta Thunberg ha la sindrome di Asperger che, a detta sua, la porta a concentrarsi su qualsiasi cosa riguardi i cambiamenti climatici e a ignorare qualsiasi tentativo di ingraziarsela. Siamo di fronte al Parlamento svedese, dove meno di due anni fa Thunberg ha cominciato il suo "Skolstrejk för klimatet", lo sciopero scolastico per il clima. All'epoca c'era solo Greta, un cartello e un pranzo nella schiscetta. Poi i ragazzi in sciopero sono diventati due, poi una decina, e poi un movimento internazionale. Le dico che i suoi discorsi sono molto coraggiosi ma lei mi fa cenno di lasciar perdere. Vuol parlare della mancanza di forza di volontà da parte delle generazioni più vecchie». E' chiaro che Greta è stata ed è un fenomeno mediatico che ha inciso molto in questi anni, specie sui giovani che si sono immedesimati in lei. Amata dunque ma anche criticata per un entourage che ha saputo elevarla sin da ragazzina, sfruttando questo suo parlare franco e diretto, irriverente verso i potenti del mondo. Ma il tempo passa anche per lei, ormai maggiorenne, e infilatasi - questa è la mia impressione - nel solco ideologico di una cocciutaggine che nega l'evidenza di un risveglio sul tema cambiamento climatico che esiste davvero. Insufficiente? E' vero, non ci siamo ancora, ma il suo "bla bla" caricaturale è una semplificazione di temi complessi e rischia di far finire in burletta una questione drammatica se non affrontata per tempo. Anni fa il climatologo Franco Prodi aveva detto dì lei: «Un fenomeno mediatico mondiale, non me ne so dare una spiegazione. Non penso che uno scienziato debba prendere il verbo da una ragazzina. Bene che si susciti nei giovani la consapevolezza. Ma non del disastro imminente per il riscaldamento globale. Le consiglierei di dirigere la sua passione verso obiettivi scientificamente più seri». Facile irridere chi butta la questione dall'emotivo al razionale, ma con la propaganda non si avanza e qualcuno potrebbe appunto ritorcere contro il "bla bla bla". Non si tratta di sminuire il suo ruolo e l'immagine sempre suggestiva di Davide contro Golia, ma oggi bisogna lavorare in azioni concrete grandi e piccole e un certo controcanto ossessivo sempre critico sembra ormai un ripetitivo e in fondo inutile déjà-vu.