Leggevo l’altro giorno, durate una ricerca sul Web di cui spiegherò le ragioni, della nostra decrescente capacità di attenzione e di concentrazione. La causa si nasconde nel rapporto che abbiamo sviluppato con la connettività e con lo strumento che la incarna: lo smartphone. C’è chi evoca la scarsa durata dell’attenzione comparandola alla presunta memoria brevissima di un pesce rosso. Mi è venuto da ridere, pensando a come questa storia del pesce rosso sia una balla, ma ormai usata da tutti, me compreso. Cito una fonte scientifica: "Ciò che è we sconcertante è che è praticamente lo stesso ovunque tu vada nel mondo", ha dichiarato a LiveScience Culum Brown della Macquarie University in Australia. "In alcuni posti sono 2 secondi, in altri 10, ma è sempre breve". In realtà i pesci rossi (Carassius auratus) hanno memorie molto più lunghe, che durano diverse settimane e perfino anni. Allora torniamo all’umano e alla nostra incapacità di seguire discorsi lunghi e di effettuare letture complesse, solo per fare due esempi. D’altra parte l’altro giorno sbirciavo mio figlio che guardava filmatini su Tik Tok e in maniera compulsiva passava da un post all’altro e se non avesse limiti di tempo nell’utilizzo potrebbe passare l’intera giornata con gli occhi sul telefonino. In fondo questo vale anche per me su Twitter con sguardi rapidi e si va avanti con la stessa logica. Mi accorgo, parlando spesso in pubblico, di come, mentre in passato i discorsi potevano essere lunghi se eri efficace, oggi puoi essere Demostene, ma passato un certo minutaggio scattano gli sbadigli o anche in prima fila gli astanti incominciano a consultare telefonini o tablet e addio interesse per quanto tu stai dicendo. Lo stesso vale per documenti corposi da consultare: conosco persone che, tipo Bignami del passato, si fanno fare dei riassuntini per evitare letture troppo lunghe. Sino a un certo punto tutto è comprensibile, ma esiste un limite di guardia da considerarsi una vera e propria involuzione mentale, che ci obbliga all’attimo, ad un flash che finisce per privarci di contenuti. Se aggiungiamo a questo l’analfabetismo di ritorno di chi finisce per perdere certi rudimenti della propria istruzione e quello di andata e cioè di chi i rudimenti non li ha proprio acquisiti e non ha il problema di perderli, il patatrac sociale e culturale è assicurato. Con il più piccolo dei miei figli cerco di essere persuasivo nel rimarcare come sarà pur vero che oggi nei motori di ricerca puoi trovare tutto lo scibile umano, ma se non hai strumenti e competenze tuoi sei destinato a prendere sonore cantonate e a non capire bene neppure quel che avrai scoperto con la sola consultazione. E’ in fondo questa la sfida del futuro: certi strumenti di comunicazione, che hanno fatto irruzione della nostra vita, ci possono rendere più performanti e maggiorare la nostra intelligenza oppure ci possono peggiorare e instupidire. Come sempre, in tutte le cose, bisogna trovare la giusta misura. Viene in mente la saggezza di Orazio con il suo “Est modus in rebus”, che si può tradurre letteralmente con “esiste una misura nelle cose” ed è utilizzata quando si vuole mettere in guardia da ogni eccesso.