Il velo islamico venne abolito in Iran nel 1936 da Reza Shah Pahlavi, il famoso Scià di Persia, defenestrato nel 1979 da quella rivoluzione islamica che avrebbe dovuto portare nuovi valori e - per chi ci credeva… - maggior libertà e invece ha significato una crescente condizione di oppressione attraverso una vera e propria dittatura per il popolo iraniano e grandi vessazioni verso le donne trascinate indietro rispetto allo status che avevano ottenuto. Questo ha significato per loro diritti negati e il velo obbligatorio, diventato e vissuto sempre di più come un simbolo di sudditanza. Mi ricordo quando Romano Prodi a Bruxelles ci raccontava di questo Paese di una bellezza straordinaria e ci lasciava interdetti con questa storia delle piste di sci con due skilift, uno per le donne è uno per gli uomini con le donne costrette a sciare con il volto coperto. E io ricordavo le manifestazioni studentesche della seconda metà degli anni Settanta con parte della Sinistra italiana - di certo i giovani comunisti - che con il solito antiamericanismo inneggiavano al ritorno in patria di Khomeyní, allora esule a Parigi amato dalla gauche caviar che prese uno dei peggiori abbàgli per chi divenne poi Guida suprema dell'Iran dal 1979 al 1989 con un feroce uso del peggior fondamentalismo. Ora e non per la prima volta dal mese di Settembre le donne iraniane hanno scatenato una protesta che è diventata ribellione e ciò è avvenuto dopo l’uccisione di Mahsa Amini, una giovane uccisa dalle guardie della rivoluzione islamica perché portava in modo sbagliato il velo. Da allora le proteste e la violenta repressione. Su Il Mulino Shirin Zakeri, ricercatrice e docente di Medioriente e Iran contemporaneo alla "Sapienza"-Università di Roma, ha tracciato alcuni aspetti della vicenda. Prima di citarla noto come l’attenzione occidentale sui fatti in corso si stia raffreddando e come certe piazze protestatarie in Italia siano state assenti. Ecco qualche passaggio dell’articolo: “Sebbene all’origine ci siano le rivendicazioni femminili per la libertà, contro il controllo del corpo femminile e contro il velo obbligatorio, ora le proteste si sono allargate, al di là delle questioni femminili, enfatizzando parole come libertà e vita. Lo slogan principale - “Donna, vita e libertà” - ha dato un’atmosfera vigorosa e nuova rispetto alle proteste precedenti: è uno slogan che sfida un sistema patriarcale e che va contro alcune leggi discriminatorie della Repubblica islamica, soprattutto in merito alle disuguaglianze di genere e ai pari diritti. La centralità del discorso femminile e la sensibilità del popolo iraniano verso l’immagine della donna, nonché la consapevolezza sui regolamenti non più tollerabili nella società iraniana, hanno dato un maggior peso critico contro l’intero sistema socio-politico”. E ancora: “È la nuova generazione che ha sostenuto la continuità delle proteste. La generazione su cui sono stati investiti tanti fondi pubblici per avvicinarla ai principi della Rivoluzione islamica È la nuova generazione che ha sostenuto la continuità delle proteste. Proprio la generazione su cui sono stati investiti tanti fondi pubblici per avvicinarli ai principi della Rivoluzione islamica; il che, a fronte delle proteste di queste settimane, mostra il fallimento dello stesso sistema ad educativo-ideologico iraniano”. C’è da sperare che questa protesta fattasi speranza sortisca effetti positivi e serva anche a noi che viviamo in uno Stato di diritto per interrogarci su come in parti delle comunità islamiche che vivono anche in Europa, ci siano e vengano tollerate come se fosse accettabile nel nome del relativismo culturale, situazioni di discriminazione verso la donna. È bene parlarne per non essere ipocriti e piangere su vicende distanti, distogliendo lo sguardo per quanto avviene vicino a noi.