Sia chiaro sin da subito che non è un bene che la Valle d’Aosta venga dilaniata dall’instabilità politica. E - lo preciso - si illude chi pensa che l’elezione diretta del Presidente sia la soluzione salvifica o che basti una riforma elettorale di chissà quale genere per eliminare questa situazione. Certo l’attuale legge elettorale è pessima con questa storia della preferenza unica per evitare - si motivava a suo tempo - il controllo del voto, eliminabile ormai con il voto elettronico in un mondo digitale in cui è ridicolo continuare ad usare carta e matita copiativa. Ma non è questo il punto. La principale ragione di instabilità risiede nella crisi profonda dei partiti e dei movimenti politici, che hanno perso la solidità di un tempo e vagano alla ricerca di una loro identità. Questo vale in particolare per quella eccezione rispetto alla politica nazionale, che è stata dal 1945 l’Union Valdôtaine. Tra molte contraddizioni e forti personalità dominanti, il Mouvement era davvero la caratteristica valdostana distintiva rispetto all’ordinarietà della partitocrazia italiana. Convivevano talvolta confusamente al suo interno più anime che riuscivano infine o per capacità delle leadership o per senso di responsabilità dello stare insieme a superare lacerazioni da sempre presenti. Poi questi equilibri si sono rotti. dopo i successi che avevano fatto crescere progressivamente l’UV sino ad ottenere la maggioranza da sola in Consiglio Valle. Un cammino per nulla piano, fatto di alti e bassi sino infine alla diaspora che io stesso ho vissuto, partecipando a nuove formazioni, pur sempre nel perimetro autonomista. Non rinnego questa mia scelta, fatta anche da altri nel corso degli anni. Di vita ce n’è una sola e quando si ritiene che la propria dignità sia stata ferita è legittimo sbattere la porta e trovare nuovi spazi. Tuttavia, questo non deve impedire di guardare oggi con freddezza allo scenario attuale e allo sconcerto di un caos per nulla confortante. Situazione fatta di rotture in tutti gli schieramenti politici, non solo nel mondo autonomista, ma per me è quella peculiarità valdostana che va salvaguardata, essendo uno dei collanti a difesa di un’Autonomia speciale che ha avuto e avrà più nemici che amici. Spesso i peggiori sono quelli che ci sono in casa e che fanno finta di riconoscersi nei valori autonomisti, ma neanche sanno di cosa parlano o nella realtà si comportano in modo ostile, pur nascondendosi dietro alla propaganda a uso elettoralistico. Ecco perché resto convinto che si dovrebbe creare un’Union Valdôtaine coesa e compatta con meccanismi democratici interni che contemperino la civile convivenza con l’efficacia di funzionamento, perché l’azione politica dev’essere rapida e non consente perdite di tempo. Da anni lo dico e con me altri lo fanno e comincio a pensare di essere un povero illuso, se non peggio perché percepito da qualcuno che dovrebbe ascoltare come uno che coltiva chissà quale ambizione nel perseguire la réunification (che è meglio di réunion). Ogni volta che parlo o scrivo della riunificazione - sia chiaro - ricevo consensi e mi ero sinceramente convinto che ci fosse un idem sentire. Ora mi accorgo l’abisso fra il dire e il fare da parte di alcuni decisori e penso che siamo giunti al punto dell’adesso o mai più di fronte a crisi politiche a ripetizione che minano le istituzioni autonomiste e il nostro ordinamento e in una temperie italiana che non prevede cielo sereno. Non lancerò - per non apparire patetico - un ultimo appello al buonsenso o all’amor patrio, essendo tutto già stato espresso ed in certi casi ripetersi non serve. So bene che esiste un reticolo complesso di detto e non detto, di comprensioni e incomprensioni, ma alla fine bisogna capire se esista o non esista una prospettiva comune. Non c’è nulla di peggio di traccheggiare e rinviare di anno in anno, come se il semplice parlarne fosse già una soluzione fatta e finita. Non è, purtroppo, così e avere certezze illumina la scena, consentendo con serenità a ciascuno le scelte future.