L’azione di riflessione in corso a livello politico sulle piccole stazioni sciistiche della Valle d’Aosta ha una logica importante. Sono stato per molti anni Presidente di una di queste: si occupava delle piste da discesa di Brusson e oggi fa parte del Monterosa Ski e riguarda gli impianti di Estoul-Palasinaz. Questo mi aiutò diventare VicePresidente nazionale dell’ANEF (acronimo che sta per Associazione nazionale esercenti funiviari), esperienza unica per capire altre realtà montane. Già allora - e parlo di una quarantina di anni fa - bisognava in quella attività prendere decisioni drastiche e si giunse alla determinazione non semplice di chiudere lo storico skilift di Brusson, situato nel cuore del paese a vantaggio del comprensorio più in alto con la realizzazione, di cui fui fierissimo, di una nuova seggiovia. Ho seguito in più il destino di altre stazioni. Penso ad Antagnod, dove avevo una casa in affitto. Anche in quel caso un piccolo comprensorio che alimenta una presenza locale importante per il mantenimento di una zona, esattamente come avveniva ad Estoul. Piccoli impianti senza i quali molte attività chiuderebbero, lì come in località analoghe. Bisogna sempre ricordare che esiste un effetto moltiplicatore degli impianti sull’economia e questo vale per i grandi come per i piccoli. Ho seguito il destino di altri due comprensori, pur diversi. Il primo - di cui ho parlato anche in Consiglio Valle con un certo trasporto - è il Weismatten di Gressoney-Saint-Jean, che fu negli anni Cinquanta fra le prime se non la prima seggiovia monoposto agli albori del boom dello sci. Si sono investiti molti soldi per avere, accanto alla mitica pista nera, uno stadio dello sci in onore del povero Leonardo David, seguendo le promesse delle autorità dello sci, che si dicevano disponibili ad avere una gara di Coppa del Mondo dedicato al giovane gressonaro prematuramente scomparso, se avessimo allestito quanto necessario. Lo facemmo è mai la promesso è stata mantenuta. Quel piccolo comprensorio mantiene una sua ragion d’essere! Idem per una battaglia combattuta di persona per il Col de Joux di Saint-Vincent, dove i miei tre figli hanno messo per la prima volta gli sci nei piedi. Un’improvvisa decisione di un Sindaco del passato portò alla chiusura. Oggi, per fortuna e coraggiosamente, si lavora per l’apertura in barba ad alcuni politici gufi del paese. La progettualità esce dal solo inverno e si indirizzo al mercato estivo della bicicletta. Non vedo l’ora comunque di sciarci di nuovo. Potrei continuare l’elenco delle altre stazioni dove sono stato: da Crevacol a Cogne, da Rhêmes a Valgrisenche e non snocciolo le altre. Intanto si sta studiando, accanto al supporto alle piccole con legge regionale, come avere una gestione più unitaria delle grandi e medie stazioni valdostane, cercando di contemperare un legame locale con logiche di ampio respiro per metterle assieme. Progetto ambizioso e difficile per logiche campanilistiche da superare con meccanismi di coinvolgimento delle comunità, ma sapendo che solo una massa critica unitaria può consentire di affrontare le sfide future anche con economie di scala. Certo il tema del cambiamento climatico e dell’innevamento diverso dal passato non vanno sottostimati, ma certe Cassandre, che predicano Alpi senza più lo sci con modelli di sviluppo che fanno impressione per la loro ingenuità, estremizzando i rischi. Lo sci resta essenziale per il turismo di montagna, che certo deve trovare, come si sta facendo, nuove offerte che si aggiungano a quanto fatto. Ma le chiusure nel nome dell’ideologia di un ambientalismo massimalista sarebbero un colpo mortale per l’economia alpina anche nelle stazioni più piccole, che porterebbe allo stato d’abbandono di intere zone dove c’è uno sci meno costoso e più “umano” a portata delle famiglie e questo rischio bisogna evitarlo a tutti i costi.