Il braccio di ferro dell’Italia con la Francia mi ha profondamente imbarazzato. Le gaffes di Giorgia Meloni (il Presidente!) hanno creato scintille con Emmanuel Macron (le Président!), che certo ha il suo caratterino, ma era stato il primo leader europeo a “sdoganare” in un incontro a Roma la giovane esponente di Fratelli d’Italia. Scelta non semplice, pensando che la maggior competitrice nella politica francese è Marine Le Pen, che ha radici nella stessa area di estrema destra dell’italiana. A metterci una pezza ci ha pensato, con la solita signorilità e con garbo istituzionale, il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che si è beccato persino le rampogne di Ignazio La Russa, Presidente del Senato e seconda carica dello Stato, che ha è stato come un elefante nella cristalleria rompendo un bon ton istituzionale. Un errore quello di Meloni, che dimostra la sua angustia culturale e la mancanza di fondamentali nella diplomazia e che conferma come non ci si possa improvvisare in certi ruoli. Amo la Francia per la grande considerazione che ho verso la loro democrazia antica e la loro civilisation, compresa la lingua, che appartiene anche in piccola misura anche a noi valdostani. Per questo mi avvilisce che anche qui da noi ci siano coloro che mostrano logiche antifrancesi a causa di ignoranza e di disinformazione. Rispondendo a lettere nella sua rubrica, Aldo Cazzullo sul Corriere scrive: “In effetti lo scontro con Macron è alla lunga un bel guaio per la Meloni sul piano politico, ma sul breve può essere un vantaggio propagandistico. Gli italiani sono convinti di essere disprezzati dai francesi. Invece, i francesi amano l’Italia e sono affascinati dagli italiani”. Posso confermarlo: certi pregiudizi del passato verso gli italiens non li vedo più. Se ci sono delle eccezioni sono eventi rari. L’inverso, invece, è usuale, purtroppo. Prosegue Cazzullo: “Diverso è il giudizio sulla nostra politica. L’Italia fascista attaccò la Francia con i tedeschi già a Parigi: una «pugnalata alle spalle» che in particolare i gollisti non ci hanno mai perdonato. La Francia è stata governata per quasi mezzo secolo dalla destra antifascista, espressione che da noi è considerata quasi un ossimoro. È abbastanza normale che qualsiasi giustificazione del fascismo suoni stonata sull’altro versante delle Alpi. Quando poi vince le elezioni italiane un partito che ha lo stesso identico simbolo di Marine Le Pen, contro cui Emmanuel Macron ha combattuto e vinto due durissime campagne presidenziali (senza contare legislative e amministrative), è chiaro che qualche problemino si crea. Se poi il governo francese, tra cento spocchie — «vigileremo sul rispetto dei diritti umani» — e mille pregiudizi, fa un gesto di buona volontà accogliendo una nave, e un’ora dopo si legge i tweet di tracotante esultanza del vicepremier, allora si può serenamente concludere che lo scontro ce lo siamo andati a cercare. E purtroppo non lo vinceremo, perché ci piaccia o no la Francia è un Paese che sotto ogni profilo — Pil, abitanti, nucleare militare e civile, peso e costo del debito pubblico, seggio permanente nel Consiglio di sicurezza dell’Onu, financo numero di turisti — conta più di noi. Poi c’è la Germania, che conta ancora di più, e ha interessi ancora più divergenti dai nostri. Non occorre un genio della politica per capire che con la Francia sarebbe meglio andare d’accordo. Senza scomodare a ogni occasione rivalità e legami, Napoleone e Platini, Gambetta e Zola, Belmondo e Pierre Cardin, che si chiamava in realtà Piero Cardìn ed era di Sant’Andrea di Barbarana, Treviso”. Parole che nel loro insieme condivido. Nel mio piccolo la settimana prossima non a caso parteciperò ad un interessante seminario sul Trattato del Quirinale, che era stato un passo in avanti significativo nei rapporti Italo-francesi, e che resta - malgrado le attuali turbolenze- pieno di spunti utili anche per la Valle d’Aosta.