Bisogna non avere paura delle polemiche, ma opportunamente riportare i fatti e non accettare che certe dichiarazioni diventino il pretesto per attacchi personali privi di fondamento. Non mi preoccupano le critiche al mio operato, perché ognuno può dire quel che vuole nel limite del lecito, quanto l’agire disonesto di chi in politica piega le dichiarazioni degli altri a proprio uso, distorcendone contenuto e senso. Ultimo caso qualche giorno fa, quando in Consiglio regionale, in tono scherzoso ben verificabile guardando il video del mio intervento, a fronte di un giovane consigliere regionale che raccontava di compagni di scuola ad Aosta che non conoscevano il suo paese, Saint-Nicholas, ho risposto sorridendo che avrebbero meritato quel cappello di asino che un tempo gli insegnanti mettevano in testa agli alunni che non studiavano. Un comunicato stampa dei soliti noti sosteneva che io avessi propugnato il ritorno del cappello d’asino nelle scuole! Fantastica distorsione ad uso del dileggio degli avversari, che merita - in questo caso davvero - il cappello d’asino. Hanno poi corretto il comunicato, ma con una coda velenosa che li qualifica ulteriormente. Antica pratica dei gruppuscoli estremisti che oggi vorrebbero moralizzare la politica valdostana, predicando su qualunque cosa grazie a certi loro leader che amano scrivere male degli altri o deformarne i tratti nelle loro vignette, senza usare uno specchio per guardarsi. È singolare come questo, al di là della propaganda usata per far male agli avversari con violenza degna di miglior causa, resti un metodo. Si sceglie un tema e questo diventa un feticcio, che sia l’elezione diretta del Presidente della Regione, l’Ospedale nuovo, le Cime Bianche. Quello diventa il loro mondo fatto di sole certezze da predicare e chiunque obietti diventa un nemico giurato. Ricordo, da Treccani, cosa sia un feticcio: ”Oggetto inanimato al quale viene attribuito un potere magico o spirituale. Il vocabolo, adottato nel 16° secolo dai navigatori portoghesi (feitiço) per designare gli idoli e gli amuleti che comparivano nelle pratiche cultuali di popoli indigeni africani, fu esteso successivamente alle reliquie sacre della devozione popolare e, più in generale, a qualsiasi oggetto ritenuto immagine, ricettacolo di una forza invisibile sovrumana”. Le loro posizioni su un tema diventano intoccabili e chi cerca di farlo viola, nei loro pensieri, un tabù. Avete presente la definizione dalla stessa fonte? ”Parola polinesiana, usata indifferentemente come aggettivo, nome e verbo e costituita di due elementi: ta "marcare, notare" e bu particella intensificativa; con significato di "grandemente contrassegnato, severamente interdetto". Questa parola fu intesa e registrata per la prima volta dal capitano Cook a Tonga nel 1777, come indicante cosa di cui era proibito l'uso e il contatto; essa è entrata nell'etnologia religiosa per esprimere l'interdizione sacra, con significato analogo a quello del latino sacer e del greco ἅγος (ἁγνός, ἐναγής, ἁγνεία). Il tabù è un'interdizione di carattere magico-religioso che grava su una persona, su un dato oggetto o luogo, su date circostanze di tempo o di condizione. La violazione di questa interdizione porta con sé sanzioni non tanto di carattere positivo emanate dal capo del gruppo, quanto di carattere magico provenienti da un potere sopranormale che si sprigiona dalla persona o dalla cosa tabù e che, agli occhi del violatore e del gruppo sociale, appare piuttosto come una sventura, come un funesto deviamento dalla norma costantemente osservata, deviamento che è manifestazione di una invisibile ma presente forza nociva”. Insomma, come nei cartelli sui tralicci dell’alta tensione con tanto di teschio, ”chi tocca muore”. Si diano una calmata e la smettano con questo gioco della demonizzazione del nemico, che è una brutta storia e svilisce la politica e li spinge ai margini del confronto civile.