Il clima di scontro nella politica italiana non deve stupire. Capita spesso di citare l’ex Ministro Rino Formica e la sua immagine truculenta della Politica “sangue e merda”. Si tratta di un’evidente iperbole, ma gli eccessi aiutano a non vivere nel Paese delle Meraviglie. Ci pensavo riguardo alle situazione di continua fibrillazione e di scontro che sembra essere ormai la regola e non l’eccezione. Leggo - come fotografia più recente - quanto scritto sul Corriere da Paolo Franchi sullo scontro fascismo/antifascismo accentuatosi, come già avvenuto in passato, sotto il 25 aprile, data della Liberazione dal nazi-fascismo e come tale simbolo evidente. Scrive Franchi: “Nessuno può ragionevolmente sostenere che in Italia o altrove esista un pericolo di ritorno al fascismo per così dire classico, o dell’avvento di un fascismo di tipo nuovo. Ma, allo stesso tempo, nessuno può ragionevolmente negare un’evidenza fino a qualche tempo fa letteralmente impensabile: il fatto cioè che per la prima volta nella storia repubblicana alla guida del governo e (si badi) del partito di maggioranza relativa c’è una giovane donna che, come molti dei suoi, i primi passi in politica li ha mossi nel Movimento sociale”. Dire pane pane e vino al vino non è facile e Franchi lo fa e dimostra evidente…franchezza: “Pretendere che Giorgia Meloni e FdI plaudano entusiasti alla natura antifascista della Costituzione, vigorosamente (e giustamente) riaffermata da Sergio Mattarella, è un po’ come intimare al tacchino di inneggiare al pranzo di Natale: ma la, anzi, il presidente del Consiglio questo rospo lo ha tutto sommato mandato giù”. Più difficile farlo per chi è missino di radici più profonde. Franchi più avanti cosi tratteggia il Movimento Sociale a beneficio di chi non ne conosce la storia: “Sin dal congresso di fondazione (Napoli, 1949), dietro lo schermo del «Non rinnegare, non restaurare», in questo partito faticosamente convissero, tra scontri furibondi e fragili compromessi, una «sinistra» socialeggiante che aveva le sue radici nella Rsi, a lungo capeggiata da Giorgio Almirante, e una destra più incline alla manovra politica, in Parlamento e nelle amministrazioni locali. Ma, altrettanto sicuramente, da tutto questo non si può trarre la conclusione che la storia del Msi sia stata quella, o soprattutto quella, di un partito che, «rimasto escluso per ovvie ragioni storiche» dal processo costituente, «si impegnò a traghettare milioni di italiani nella nuova Repubblica parlamentare, dando forma alla destra democratica», come ha scritto Giorgia Meloni nella lettera al Corriere del 25 aprile. Per restare a tempi non lontanissimi: chiunque abbia vissuto la stagione inaugurata, nel 1969, dalla strage di Piazza Fontana sa che le cose non stanno così. Non deve essere un caso se nel 1949, Pietro Nenni, vecchio e malato, trovò la forza di recarsi per l’ultima volta al Senato, pur di evitare che a presiedere la seduta inaugurale della legislatura fosse il missino Araldo di Crollalanza. E non deve essere un caso neppure se, per «dare forma alla destra democratica», il Msi, un partito che ancora nel 1991 aveva per segretario Pino Rauti, il fondatore di Ordine Nuovo, toccò seppellirlo”. Insomma, prosegue Franchi: “Per utilizzare un cortese eufemismo, sembra quanto meno un po’ eccessivo sostenere che il Msi abbia svolto sulla destra, a maggior gloria della Repubblica, un ruolo in fondo non troppo dissimile da quello esercitato dalla Dc nei confronti del clericalismo più retrivo e della piccola borghesia più incline a una deriva reazionaria, e dal Pci nei confronti di ampi settori della classe operaia e del partigianato del Nord, convinti che alla Resistenza potesse e dovesse far seguito una spallata rivoluzionaria. Non è solo la storia del Msi a essere diversa. Diversa, molto diversa è la storia di una Repubblica che, caso unico tra gli sconfitti della Guerra mondiale, si fonda su una Carta scritta in quei termini, e non in altri, grazie alle forze che la Resistenza la avevano fatta. È, questa, una considerazione che dovrebbe risultare ovvia a dir poco”. Possibile che su questo non ci sia una comune coscienza? Franco lamenta troppi silenzi sul punto da parte anche di chi è erede politico di certi valori ed è bene che anche il mondo autonomista su questo non si smarrisca e non si tratta di vedere il mondo dallo specchietto retrovisore ma di evitare di recidere la memoria.