“Sai, figliolo, continuò, hai voglia di raccontare i tuoi ricordi agli altri, quelli stanno a sentire il tuo racconto e magari capiscono tutto anche nelle minime sfumature, ma quel ricordo resta tuo e solo tuo, non diventa un ricordo altrui perché lo hai raccontato agli altri, i ricordi si raccontano, ma non si trasmettono”. (Antonio Tabucchi)
Ho incontrato per caso una mia amica di infanzia della “compagnia” della Spiaggia d’Oro di Imperia, una banda fatta di personalità così varie da farne un mix senza eguali. A ripensarci ringrazio i miei genitori di quelle lunghe estati sulla Riviera di Ponente nell’arco fra i miei pochi mesi dalla nascita e i miei vent’anni, quando poi coscientemente ho spezzato il cordone ombelicale e ho fatto altro. Oggi, che sono votato a vacanze itineranti che mi portano a vedere sempre posti nuovi in un periodo breve, non posso tuttavia che pensare a quelle vacanze stanziali che mi hanno segnato e sono state una delle lezioni nella scuola della vita. Si partiva alla chiusura delle scuole e si rientrava a Settembre (le scuole iniziavano il 1 ottobre). Già il viaggio, sino a che i percorsi autostradali non semplificarono le cose, era un’avventura lungo le strade statali con le macchine stipate. Una sarebbe tornata in Valle d’Aosta con papà veterinario, mentre la mamma casalinga tornava, avendo l’altra auto, nella Liguria della sua nascita con gioia che le si vedeva in volto. I primi anni le tre sorelle con marito e cugini vivevano tutti nella casa dei nonni materni. Un clan poi spezzatosi con improvvida vendita della casa e diaspora in anonimi appartamenti. Ma - ci pensavo dopo aver rivisto la mia amica - l’educazione sentimentale più importante fu la scoperta della vita sociale della spiaggia in quegli anni da bambino e poi da ragazzo. In una situazione strana, perché una villeggiatura lunga ti trasformava da turista in quasi local che acquisiva uno status intermedio fra “straniero” e autoctono. In fondo gli ombrelloni - e il nostro era ovviamente in prima fila anno dopo anno - erano come un palcoscenico in cui si raggruppano storie personali e familiari diversissime con recite quotidiane che mai annoiavano. Ricordo mio papà, con l’eterna sigaretta in bocca, che raccontava barzellette che non so da dove diavolo traesse. E intanto crescevo e da neonato nel battellino con l’acqua dentro diventavo costruttore di castelli di sabbia e poi protagonista di sfide sportive varie: dagli autodromi con le biglie ai racchettoni sulla battigia, dalle tenzoni a nuoto alla pesca con la fiocina contro le povere sogliole. Infine si saliva sulla terrazza quando l’adolescenza accendeva gli ormoni e sortivano con i primi amori lettere romantiche al ritorno a casa. Con l’acquisto del motorino, la spiaggia diventava sempre più base di partenza con la scoperta della Liguria segreta dell’entroterra. Poi si scalavano le scuole superiori e le estati assumevano nuove coloriture e maggiori consapevolezza, ad esempio nello studio sociologico delle diverse età di chi era in spiaggia, degli intrighi familiari, delle nuove entrate di chi spuntava nella “nostra” spiaggia. Un mondo corale ricco di storie e aneddoti, che oggi sono ricordi che scaldano il cuore e accendono nostalgie buone e consolatorie per il tempo che passa. Raramente ci sono tornato, specie con i miei figli in quelle visite sui luoghi cari che per loro erano solo noia per memorie per loro barbose è autocelebrative. Ma i due figli più grandi, come una sorta di fil rouge, nei prossimi giorni saranno, per loro scelta, in quei luoghi per me così evocativi. Chissà che un giorno, magari da nonno, non possa riproporre a qualche piccolino il ciclo della vita anche nella spiaggia in cui mi sono sentito protagonista.