La settimana scorsa ero al Comitato delle Regioni a Bruxelles. Cenavamo in una birreria al Sablon, quartiere dove ho abitato quando ero parlamentare europeo, e lo facevamo in un tavolo all’aperto grazie al caldo inusuale di quella che in francese chiamano “été indienne”. Con i miei collaboratori a tavola discutevano di Israele e Hamas, preoccupati di cosa sarebbe potuto capitare in città, vista la presenza nella Capitale belga ed europea di cellule islamiste. Proprio vicino a dove ci trovavamo il 6 giugno del 2014 ci fu la strage islamista al Museo Ebraico di Buxelles alla vigilia delle elezioni europee: un attacco nel cuore dell'Europa, che fece quattro vittime e fu una ferita profonda alle istituzioni europee e all'Unione stessa, alla democrazia, alla convivenza, in un luogo simbolo di cultura e di memoria. Non molto distante ci furono - con un totale di 32 morti - gli attentati di Bruxelles del 22 marzo 2016, quando avvennero una serie di tre attacchi terroristici coordinati. Due attacchi colpirono l'aeroporto di Bruxelles-National, nel comune di Zaventem, ed uno la stazione della metropolitana di Maelbeek/Maalbeek, nel comune di Bruxelles. All’aeroporto sfuggì alla morte, per combinazione fortunata, Francesca, la storica funzionaria della Valle d’Aosta, che lavora da tanti anni alla Rappresentanza della Regione a Bruxelles. Fra noi commensali discutevamo delle preoccupazioni che Bruxelles potesse essere di nuovo colpita, concordando sul fatto che non parevano esserci misure particolari da parte delle forze dell’ordine, malgrado l’evidente rischio incombente ben rappresentato dalle vicende passate che ho appena descritto. Purtroppo avevamo ragione e ieri un attentatore ha colpito di nuovo e l’assassino, un arabo belga, ha ucciso due persone a colpi di mitra e pubblicato un video in cui dice: ”Sono dello Stato Islamico, viviamo e moriamo per la nostra religione”. Ora tutta l’Europa e direi tutto l’Occidente ha rafforzato le misure di sicurezza. Sappiamo bene come “lupi solitari” simili a questo Abdeslam Jilan ci sono potenzialmente ovunque, come il ceceno che in Francia ha ucciso poche ore fa un professore, ma ci sono anche gruppi organizzati. Basti pensare a Parigi con gli attentati di Parigi del 13 novembre 2015 compiuti da almeno dieci persone fra uomini e donne. Furono loro i responsabili di tre esplosioni nei pressi dello stadio e di sei sparatorie in diversi luoghi pubblici della capitale francese, tra cui la più sanguinosa è avvenuta presso il teatro Bataclan, dove vennero uccise 90 persone. Fu il secondo più grave atto terroristico nei confini dell'Unione europea dopo gli attentati dell'11 marzo 2004 a Madrid. Allora ci furono una serie di attacchi di matrice islamica sferrati nella capitale spagnola a diversi treni locali, provocando 192 morti (di cui 177 nell'immediatezza degli attentati) e 2057 feriti. Evocare queste vicende serve come ammonimento contro certa distrazione nostra rispetto ai gravi rischi dovuti alla presenza fra di noi, nel cuore delle nostre società di terroristi sanguinari pronti a colpire. E pone un problema serio di certe complicità di comunità accolte nel tempo, che in passato non sempre hanno vigilato e denunciato la presenza fra di loro di persone pericolose, perché finite nelle braccia dell’Islam radicale. I temi dell’immigrazione ragionata e non casuale e dell’integrazione necessaria contro la presenza di società parallele restano chiavi di volta dell’accoglienza e bisogna dirlo con chiarezza in occasione di vicenda gravi che minano la necessaria civile convivenza. Altrimenti saranno guai crescenti e il muro delle incomprensioni genera mostri. Abbiamo diritto tutti a vivere sereni.