È abbastanza singolare che ieri, nello stesso giorno, io abbia partecipato a Chivasso al ricordo della Dichiarazione di Chivasso (come oggi esattamente 80 anni fa) e ad un dibattito sul futuro delle Alpi, nel quadro dell’interessante convegno di geopolitica del Grand Continent a Saint-Vincent con la partnership strategica della Valle d’Aosta. E oggi, come un ciliegina sulla torta e nello stesso ambito, partecipi ad un dibattito sul Trattato del Quirinale, che rilancia in un quadro europeo i rapporti bilaterali fra Italia e Francia e che ha le Alpi citate nelle premesse e un capitolo prezioso e innovativo sulla cooperazione transfrontaliera. Tutti temi che mi interessano da sempre e su cui considero del tutto prezioso esprimermi e confrontarmi. Su Chivasso e quel documento ho scritto mille volte, per cui non mi ripeto. Osservo solo che è un documento che va letto in due modi. Il primo situandolo con esattezza nella temperie di quel Dicembre del 1943 e scorrendo, ancor prima del testo e dei documenti preparatori, la biografia assai diversa dei partecipanti de visu e dei contributi scritti. Il secondo guardando che cosa, hic et nunc, c’è oggi come eredità che arriva da quel passato sino ad oggi, come se fossero un messaggio in bottiglia. Per capirci: cosa ne è stato del dibattito proposto sul destino delle Alpi e dei suoi popoli, cosa sia avvenuto per temi capitali come il futuro della montagna e delle minoranze linguistiche, che fine ha fatto il dibattito sul federalismo e della appena citata prospettiva europea. È questo che ho cercato di fare con un bilancio in chiaro e in scuro. Come sarebbe bello poter avere oggi, vivi qui con noi, quei coraggiosi estensori della Dichiarazione per capire se e come abbiano fruttato quei semi lanciati in epoca scura, i cui esiti non prevedevano mediazione. O vincevano i “buoni” o il giogo della dittatura nazi-fascista avrebbe stritolato il mondo. Un fatto è certo: oggi più che mai ci sono elementi interessanti sul confronto politico sulle Alpi. Fatemi riavvolgere il nastro e ricordare che cosa scriveva il geografo francese, Paul Guichonnet, nel descrivere una “civilisation alpine fondée sur la libre détermination de collectivités locales, autonomes et responsables”. Aggiungendo poi: ”Les Alpes sont, certainement, les montagnes les plus singulières et attachantes de la Terre. Au cœur du continent européen, berceau de la civilisation industrielle développée, elles séparent et unissent, tout à la fois, le monde méditerranéen et les façades nordiques et océaniques du continent, dont elles constituent l'ossature majeure”. Segnalando ancora: “la recomposition d'un espace alpin, moins subordonné et asservi, ne pourra se faire que dans le cadre de l'intégration européenne”. Credo che questa sia una strada giusta e penso a quanto fosse stato visionario l'Abbé Joseph Bréan nel suo “Civilisation alpestre" con una suggestiva immagine dello scorrere dell’acqua: ”Le moment est peut-être venu où cet immense réservoir de valeurs humaines, constitué par les Pays des Alpes, doit ouvrir ses écluses, pour répandre tout autour les flots d'une civilisation capable de sauver et de rénover le vieux continent, ce noble et malheureux continent qui se débat dans un désarroi angoissant, cherchant une voie de salut”. Oggi la strategia della Macroregione alpina ci obbliga a riflette su temi da affrontare in modo unitario, partendo dalla democrazia locale e per pesare sull’Europa e sugli Stati. Dal cambiamento climatico alla crisi demografico, dal destino dei piccoli comuni al rapporto con le città subalpine, dalla digitalizzazione all’energia, dai grandi predatori ai trasporti da e verso il resto d’Europa. Tema da cavalcare da protagonisti e non da comprimari.