Torno per l’ultima volta sul Trattato tra la Repubblica italiana e la Repubblica francese per una cooperazione bilaterale rafforzata”, detto “Trattato del Quirinale”. Venne firmato il 26 novembre 2021 a Roma dal Presidente del Consiglio italiano, Mario Draghi, e dal Presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron. Lo faccio perché ne abbiamo discusso, con un variegato e competente tavolo di politici ed esperti nei colloqui del Grand Continent, alla presenza anche di una personalità europea come Romano Prodi e del nuovo ambasciatore francese, Martin Briens, arrivato a Roma il 17 luglio 2023. Era presente, però, al dialogo anche il vecchio ambasciatore a Roma, Christian Masset, cui si deve il lavoro di cucitura fra Quirinale ed Eliseo, che ha portato al Trattato. Personalmente questo accordo chiave lo definisco, da europeista in periodo natalizio, come una stella cometa nel buio di certe difficoltà nei rapporti politici tra Italia e Francia, cui si somma una certa oscurità nel futuro dell’integrazione europea. Sono 12 i capitoletti per argomento e questi i temi per comprenderne l’ampiezza: difesa, economia, sviluppo sostenibile, innovazione, giovani percorsi di studio franco-italiani, università, cultura, cooperazione transfrontaliera, mobilità, cooperazione di polizia, affari esteri. Sono argomenti vari, ma tutto funzionerà se non si volerà solo troppo alto, come fanno talvolta le diplomazia e spesso la politica, mentre questi argomenti devono avere basi solide e concrete e interessare anzitutto le persone, le comunità, le imprese, la scuola e smetto l’elenco che potrebbe continuare a lungo. Di fatto si stanno muovendo i primi passi e come europeista e come valdostano non posso non dire quanto sia necessario crederci, anche se il clima complessivo, che subiamo, è di rapporti freddini fra Parigi e Roma a detrimento dei territori come il nostro che ci credono. E ci credono per le stesse tre ragioni che portarono nel 1945 alla prima forma di autonomia per la Valle d’Aosta e cioè - come da decreto luogotenenziale che precedette l’attuale Statuto di autonomia - “condizioni geografiche, economiche e linguistiche del tutto particolari”. Da questo bisogna partire, sapendo che questo Trattato è assieme un punto di arrivo, che funzionerà solo se sarà anche un punto di partenza nella sua reale applicazione. Per chi ci crede, naturalmente, e noi non possiamo che essere fra questioni per una ragione in più alle tre già citate: una ragione storica. Con la Savoia sino al 1860, quando venne ceduta alla Francia, siamo stati lo stesso territorio con una cultura del tutto simile. Questo significa che le frontiere hanno separato quanto, anche grazie al Trattato, nella parte sulla cooperazione transfrontaliera, oggi deve - in chiave europeo - tornare essere un ponte per i rapporti reciproci. E la Valle d’Aosta ha per questo un ruolo storico e naturale di ponte non solo culturale. Abbiamo due luoghi simbolici: uno è il Monte Bianco con la collaborazione trilaterale (quando Svizzera compresa) con l’Espace Mont Blanc e l’altro è quell’antico punto di contatto rappresentato dal Piccolo a San Bernardo. Quel Bernardo, Santo valdostano, figura emblematica. La cooperazione, oggi meglio definita come territoriale, ha avuto un percorso difficile e solo dagli anni Novanta, fallita cooperazione prevista dal Consiglio d’Europa, è entrata nella politica di coesione con strumenti come Interreg. Poi nel 2005 abbiano approvato l’Euroregione AlpMed che rilanceremo il mese prossimo assieme ad accordi più piccoli con Alta Savoia e Savoia. Così come è arrivata dal 2013 la macroregione alpina, che parla di tutto l’arco alpino! Insomma: c’è da lavorare e bisogna seguire i diversi settori utili con spirito europeista, credendoci. Necessita un vero e proprio Comité de pilotage senza il quale non sarà facile tenere assieme tutto in tempi ragionevoli.